Fondazione Lanza. Martedì 23 il terzo seminario di etica ambientale

“Per la cura della casa comune. L’etica ambientale nel tempo dell’antropocene”. Dopo gli incontri in autunno termina con un seminario il percorso a cura della Fondazione Lanza, martedì 23 gennaio alle 16.45.

Fondazione Lanza. Martedì 23 il terzo seminario di etica ambientale

Cambiamento climatico e gestione dell’acqua.

Sarà questo il tema portante del seminario organizzato dalla fondazione Lanza per martedì 23 gennaio alle 16.45 nella sede di via Dante 55 a Padova. Si conclude dunque con un focus di estrema attualità il ciclo di incontri iniziato l’ottobre scorso intitolato “Per la cura della casa comune. L’etica ambientale nel tempo dell’antropocene”.

Ad animare il dibattito che metterà al centro la risorsa idrica – “l’oro blu” – arriveranno in città Giulio Osti, docente di sociologia dell’ambiente e del territorio a Trieste; Giustino Mezzalira, direttore della sezione ricerca e gestione agroforestale di Veneto agricoltura; Andrea Crestani, direttore della divisione veneta dell’Anbi, l’associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue. Starà a loro dare applicazione ai principi dell’etica ambientale, alla base anche dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, su una materia così centrale e spinosa.

«Che il cambiamento climatico sia una realtà, nonostante i diffusi rigurgiti negazionisti, è innegabile – riflette il prof. Osti entrando nel vivo della questione – Evitiamo prese di posizione ideologiche e rimaniamo ai fatti. L’estate torrida e siccitosa e il sollievo con cui l’opinione pubblica ha accolto le recenti, abbondanti nevicate in montagna, la dicono lunga su come ormai il cambiamento climatico sia parte della percezione comune. Possiamo semmai discuterne le cause, provare a capire il reale impatto dell’uomo in tutto questo: ma in quest’ambito gli scienziati più seri ammettono grande incertezza».

La diretta conseguenza di tutto questo è che «abbiamo sempre più bisogno di superfici per accumulare acqua». Il nucleo del ragionamento di Osti appare quasi una beffa per un territorio, il Veneto, che per secoli ha lottato per strappare terra all’acqua e che tutt’ora celebra le grandi bonifiche benedettine.

«Nuovi serbatoi in grado di immagazzinare risorse idriche di superficie hanno molteplici funzioni di cui oggi avvertiamo la grande necessità – continua Osti – Mitigare il rischio idrogeologico, accumulare acqua per l’irrigazione agricola, combattere il cambiamento climatico ripristinando zone umide come gli stagni». Si tratta di un enorme progetto passibile però di grandissime criticità, come ammette lo stesso professore: «Generare oggi aree di questo tipo è dolorosissimo per i molteplici interessi che nel tempo si sono accumulati sul territorio. Non penso necessariamente a quelli privati, ma anche a quelli pubblici: basta guardare ai fondo valle veneti o trentini dove i torrenti sono stati irreggimentati per fare spazio a ciclovie, parcheggi e altri servizi. Preso atto della complessità di intervenire sulle aree fortemente urbanizzate, le zone più flessibili, su cui agire per ricavare superfici adeguate sono quelle agricole».

Il pensiero corre subito ai grandi bacini di laminazione delle piene torrentizie, come quello di Caldogno, voluto dalla regione dopo l’alluvione “dei Santi” del 2010 che ha messo sott’acqua un terzo di Vicenza e numerosi centri della provincia padovana.

«Certo questo è un caso emblematico – sottolinea Osti – che costituisce però uno degli interventi possibili in una vasta gamma che inizia con la manutenzionepuntuale e l’allargamento dei fossi che solcano le nostre campagne. Abbiamo bisogno di bacini di scala differente e leggi chiare, ma soprattutto serve una grande flessibilità mentale».

A rendere ardua la realizzazione di questo grande piano è principalmente il localismo esasperato che abbiamo visto crescere negli ultimi anni.

«Occorre sostenere i germi di vitalità presenti nella società civile e che si esprimono per esempio nelle decine di contratti di fiume, luoghi di democrazia e di sensibilizzazione. Partiamo da ciò che il cittadino medio ama fare: chi utilizza la neve, chi naviga. Ebbene, a queste persone è possibile chiedere un contributo per mantenere il bene acqua disponibile e pulito. Tutto questo si regge su ragionamenti che vanno però condotti su scala regionale o di bacino e anche sulla solidarietà tra bacini diversi».

Un contributo importante dal punto di vista culturale, secondo Osti, può venire anche dalla chiesa, la quale, seppur con grande ritardo, ha posto la custodia del creato al centro della propria riflessione.

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