La tolleranza zero di Duterte semina violenza nelle Filippine

Nell'arcipelago del Sud Est Asiatico reparti di polizia trasformati in squadroni della morte per combattere i trafficanti di droga. Negli ultimi mesi sono ben 7 mila i morti tra spacciatori e presunti tali e tra le conseguenze una psicosi collettiva di essere uccisi sul marciapiede che ha fatto impennare le richieste di entrare in centri di recupero per tossicodipendenti. Ma i consenso del presidente non cala, anzi. Anche se rimane da valutare l'arresto della rivale Da Lima considerata un grave colpo alla permanenza di uno stato di diritto nelle Filippine.

La tolleranza zero di Duterte semina violenza nelle Filippine

Quando è stato eletto nel giugno scorso come presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte aveva assicurato il pugno di ferro contro il traffico di droga. E così ha fatto. Solo che la sua politica dal ferro è passata immediatamente al piombo, causando oltre 7mila vittime negli ultimi mesi.

Spacciatori veri o presunti, uccisi da reparti speciali della polizia trasformati in squadroni della morte. O da assassini a “contratto” che vengono reclutati tra la gente comune o tra i più poveri, senza la dovuta preparazione ma con l’anelito di un reddito accettabile. 

L’azione di repressione parte da impressioni o delazioni, si concentra in azioni rapide e decise ed escludono per lo più ogni forma di processo. Un modus operandi che ha preoccupato non poco le organizzazioni umanitarie che seguono il paese asiatico. E che ha fatto storcere il naso a qualche oppositore politico di Duterte, in primis la deputata Leila Da Lima.

Sotto accusa non c’è soltanto l’arbitrarietà degli interventi, ma anche la psicosi di finire uccisi mentre si è fermi ai marciapiedi, in un parco o addirittura a casa propria. Con il risultato che i centri di recupero per tossicodipendenti hanno registrato un’impennata di iscritti in questi mesi concitati, i quali per la stragrande maggioranza si sono autodichiarati consumatori abituali di stupefacenti.

Del resto il degrado sociale ancora diffuso nell’arcipelago che fa capo a Manila favorisce la concentrazione di tanti consumatori/spacciatori: in certi agglomerati urbani fino a un terzo della popolazione ha a che fare in qualche modo con lo shabu. Quest’ultimo è una droga sintetica di cui le Filippine sono tra i primi produttori ed esportatori mondiali, che si è diffusa in forma esponenziale anche tra le comunità emigrate all’estero; ha la caratteristica di causare un’iperattività che danneggia gravemente il sistema nervoso. 
In una situazione del genere, si comprende come mai tanti osservatori definiscano la guerra alla droga come una guerra tra poveri. Eppure Duterte non si scompone. Al contrario si fa forte di una propaganda iniziata quando ancora era sindaco di Davao, a sud del paese, fatta di tolleranza zero proclamata e applicata senza titubanze di sorta. E una parte cospicua della gente sembra apprezzarla, visto che il suo consenso non accenna a diminuire.
È da valutare la reazione della stessa dopo l’arresto dell’avversaria Da Lima, avvenuto venerdì 24, per presunte tangenti ricevute dai narcotrafficanti. Un tentativo di farla zittire definitivamente, accusa la deputata che già incalzava l’attuale presidente quando amministrava Davao. E un grave colpo alla permanenza di uno stato di diritto nelle Filippine, aggiunge l’associazione Human Rights Watch, a maggior ragione perché non si tratterebbe della sola voce critica che attualmente si trova sotto pressione.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: Durterte (1), terrore (1), Filippine (5)