Rieletto Rouhani, dal popolo iraniano un segnale agli ayatollah

Il presidente uscente iraniano Hassan Rouhani è stato eletto per un secondo mandato con la maggioranza assoluta dei voti al primo turno. La sua vittoria contro lo sfidante, il conservatore Ebrahim Raisi, conferma la volontà di cambiamento e riforme diffusa nel popolo iraniano, in un paese comunque nelle mani della soffocante struttura di potere sciita.

Rieletto Rouhani, dal popolo iraniano un segnale agli ayatollah

Il presidente uscente iraniano Hassan Rouhani è stato eletto per un secondo mandato con la maggioranza assoluta dei voti al primo turno.
La sua vittoria contro lo sfidante, il conservatore Ebrahim Raisi, conferma la volontà di cambiamento e riforme diffusa nel popolo iraniano, soprattutto quello giovanile e residente nei principali centri urbani. Gli ambienti laici e clericali ligi all’ortodossia religiosa della Repubblica islamica, unitamente ai potentati economici e alle classi sociali che più beneficiano dei vantaggi derivanti da rendite di posizione clientelari e corruzione, non sono riusciti, viceversa, a prevalere.

Il cammino di aperture sul piano economico, politico e sociale può dunque proseguire.
Questo significa innanzitutto rilancio dell’economia, basato sugli investimenti stranieri e su graduali tentativi di liberalizzazioni contro le pesanti ingerenze degli apparati statali.
L’eliminazione dell’embargo sulle esportazioni di petrolio, in seguito all’accordo sul nucleare, sta già producendo i primi risultati in termini di crescita, anche se disoccupazione, soprattutto giovanile, e povertà rimangono ancora enormi problemi da affrontare.
Rouhani è chiamato inoltre a rispondere alle aspettative, sempre più pressanti, di molti cittadini iraniani di contenimento della repressione del dissenso politico e delle deviazioni dalla morale religiosa islamica imposta dalla casta degli ayatollah in applicazione del Corano.

Fustigazioni, lapidazioni, condanne a morte in generale, divieti che limitano fortemente la vita delle donne sono sempre più difficilmente tollerati da una maggioranza della popolazione che guarda all’Europa e all’America come orizzonti culturali e sociali di libertà e progresso. L’Iran è un Paese che vive una profonda lacerazione tra classe politico-religiosa al potere, e società civile formata prevalentemente da giovani, molti dei quali con alti livelli di istruzione e desiderosi di aprirsi al mondo e di interagire con le sue dinamiche e stimolazioni culturali.

L’accordo sul nucleare, strenuamente difeso dal presidente Rouhani durante il suo precedente mandato, può costituire un’importante leva politica per tentare di forzare le molte resistenze trasversali, che si oppongono a ogni trasformazione innovatrice. Sebbene siano una minoranza, i conservatori, infatti, continuano a detenere il potere saldamente nelle loro mani.

Il presidente in Iran è una figura politica di rilievo, ma con capacità di iniziativa subordinata alla volontà della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei che, come correttamente dice il nome della sua carica, riveste il ruolo di più alto rango della Repubblica.
Nessuna importante decisione può essere adottata senza il suo consenso e gli stessi candidati in ogni votazione politica e amministrativa, incluse le elezioni presidenziali, devono superare il vaglio del Consiglio dei guardiani della costituzione, che fa a lui riferimento.
La Guida suprema non è eletta dal popolo e rappresenta la continuità istituzionale con i principi religiosi fondamentali della Repubblica islamica, in pratica le gerarchie clericali sciite che esercitano la massima influenza politica.

Quindi l’affermazione di un riformista alla presidenza, come espressione della volontà popolare, è sicuramente indicativa delle tendenze e delle speranze maggioritarie che attraversano la società civile, ma dovrà sempre fare i conti con i più elevati apparati politici e militari dello Stato, che difficilmente saranno disposti a cedere spontaneamente quote del loro potere per assecondare qualsivoglia processo democratico di riforme.

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