Come si vota il 4 marzo

L’elettore avrà tre opzioni: segnare il nome del candidato uninominale; il simbolo di un partito; il nome e il simbolo. Non è ammesso il voto disgiunto, né si possono indicare preferenze tra i candidati al proporzionale.

Come si vota il 4 marzo

Il 4 marzo segnerà il debutto del nuovo sistema, ribattezzato comunemente Rosatellum. Un sistema misto in cui però la componente proporzionale è largamente prevalente su quella maggioritaria.
La legge, infatti, prevede che alla Camera 232 seggi siano assegnati in collegi uninominali maggioritari (chi prende più voti vince il seggio e stop) e 386 con voto di lista e riparto proporzionale. Al Senato i seggi in palio nei collegi uninominali maggioritari sono 116, mentre 193 vengono attribuiti con metodo proporzionale sulla base dei voti di lista. Al computo vanno aggiunti 12 deputati e 6 senatori eletti all’estero.
E’ prevista la possibilità di coalizioni tra partiti per competere nell’assegnazione dei seggi uninominali. I singoli partiti, comunque, anche se coalizzati, devono superare una soglia di sbarramento del 3% a livello nazionale, al di sotto della quale non si ha diritto a partecipare al riparto proporzionale. All’interno delle coalizioni, se un partito prende più dell’1% ma non raggiunge il 3%, i suoi voti vengono riversati sulle altre liste coalizzate che abbiano superato la soglia di sbarramento.
Ma

per l’elettore l’operazione materiale del voto sarà molto più semplice di quanto possa apparire da questa pur sommaria illustrazione del sistema di assegnazione dei seggi.

Sulla scheda ci saranno dei riquadri, ciascuno dei quali conterrà il simbolo di un partito o i simboli dei partiti coalizzati; il nome del candidato nel collegio uninominale; brevissime liste di nomi accanto a ogni simbolo (i candidati che concorrono al riparto proporzionale e che saranno eventualmente eletti nell’ordine in cui sono scritti). L’elettore avrà tre opzioni: potrà segnare il candidato uninominale e il simbolo del partito o di uno dei partiti che lo sostengono (sempre all’interno dello stesso riquadro: non è previsto il cosiddetto “voto disgiunto”); potrà segnare soltanto il candidato uninominale e in questo caso il voto varrà anche per il partito singolo o per i partiti coalizzati (in misura proporzionale tra loro in base ai voti ottenuti dagli stessi); potrà segnare soltanto il partito o uno dei partiti coalizzati e in questo caso il voto varrà anche per il candidato uninominale collegato.

Sulla scheda ci saranno molti più simboli di quelli dei partiti rappresentati nel Parlamento uscente. Sono numerosi, infatti, i soggetti organizzati che hanno raccolto le firme necessarie per presentare le loro liste elettorali. Entro il 2 febbraio gli uffici centrali circoscrizionali dovranno comunicare all’ufficio elettorale nazionale centrale presso la Cassazione le liste che sono state ammesse dopo la verifica dei requisiti. Fermo restando che gli elettori possono sovvertire qualsiasi previsione, il quadro delle forze che sulla base dei sondaggi appaiono in grado di competere per i seggi è realisticamente circoscritto a quattro realtà: una coalizione di centro-destra (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Noi con l’Italia-Udc), una coalizione di centro-sinistra (Pd, +Europa, Civica popolare, Insieme, Svp-Patt) e due partiti che corrono singolarmente, vale a dire il Movimento 5 Stelle e, a sinistra, Liberi e Uguali.
In presenza di un sistema dei partiti non bipolare e con una legge elettorale prevalentemente proporzionale,

è molto difficile che il responso delle urne fornisca un’indicazione univoca per la maggioranza di governo.

Tale maggioranza andrà con tutta probabilità costruita in Parlamento (peraltro tutti i governi sono parlamentari, secondo il nostro sistema costituzionale) e in questo senso avrà un particolare rilievo la consistenza dei singoli partiti – e dunque il voto espresso per le liste – in quanto le coalizioni di cui si parla sono sostanzialmente degli accordi elettorali non vincolanti.
Sull’appuntamento del 4 marzo incombe però il timore di un ulteriore aumento dell’astensionismo. Gli stessi sondaggi vanno presi con molta prudenza perché la percentuali degli indecisi – non solo su quale partito scegliere, ma anche se andare alle urne o no – è elevatissima. Non ha certamente giovato una campagna elettorale in cui finora il dibattito più serio è apparso soverchiato da promesse impossibili e proposte non realistiche. La questione è in cima alle preoccupazioni del Capo dello Stato, che nel discorso di fine anno ha rinnovato il suo appello: “Nessuno rinunzi al diritto di concorrere a decidere le sorti del nostro Paese”. Anche i vescovi italiani, nel comunicato finale dell’ultimo Consiglio permanente, si sono rivolti agli elettori “perché superino senza esitazione ogni tentazione di astensionismo”.

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Fonte: Dire - www.dire.it
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