Follini: «La politica non è solo questione di leader»

Il quadro politico che emerge dalle ultime elezioni amministrative dà l’immagine di un momento politico molto fluido, in movimento, con una netta ripresa del consenso del centrodestra, un Partito democratico in difficoltà e il terzo polo del Movimento 5 Stelle che comincia quantomeno ad arrestare la parabola ascendente. Post-elezioni amministrative, a bocce ferme, quale è il trend che emerge dall’analisi del voto? Lo abbiamo chiesto a Marco Follini, ex vicepresidente del Consiglio tra il 2004 e il 2005 e grande conoscitore del sistema dei partiti.

Follini: «La politica non è solo questione di leader»

Il quadro politico che emerge dalle ultime elezioni amministrative dà l’immagine di un momento politico molto fluido, in movimento, con una netta ripresa del consenso del centrodestra, un Partito democratico in difficoltà e il terzo polo del Movimento 5 Stelle che comincia quantomeno ad arrestare la parabola ascendente.
Post-elezioni amministrative, a bocce ferme, quale è il trend che emerge dall’analisi del voto? Lo abbiamo chiesto a Marco Follini, ex vicepresidente del Consiglio tra il 2004 e il 2005 e grande conoscitore del sistema dei partiti.

«Sicuramente il fatto che sempre meno italiani vanno a votare, un altro meno 7 per cento. È questo il dato forse più significativo di questa tornata, cui rivolgere maggiore attenzione. Cresce un voto di protesta trasversale e le forze di governo sono sempre più in difficoltà».

I maggiori centri demoscopici danno un centrodestra in forte rilancio. È una valutazione valida anche per il quadro nazionale?
«Sarei cauto. Il centrodestra è un elettorato diffuso, massiccio, in alcuni periodi addirittura imponente, ma oggi non ha un progetto di governo chiaro e riconoscibile. È lontanissimo un accordo per un programma di legislatura tra Berlusconi e Salvini, forse tra di loro è più probabile una contesa di wrestling, come tra il presidente americano Trump e la Cnn. Nella destra italiana ci sono allo stato attuale forze con divaricazioni troppo profonde, e per questo motivo su scala nazionale non penso che alle prossime politiche parta con qualche punto di vantaggio».

Il centrosinistra paga in questa fase di flessione le continue divisioni interne. Anche ora che la vecchia minoranza non c’è più?

«In parte. Aggiungo che il centrosinistra, e in particolare il Pd, oggi è visto dall’elettorato come l’ultima roccaforte del ceto politico. Hanno più esperienza, più longevità, più tecnica politica di tutti gli altri. E paradossalmente questo è uno svantaggio in termini di popolarità e consenso».

Anche la leadership di Matteo Renzi si sta logorando lentamente o rimane sempre il mattatore di questa fase?
«Il logoramento dell’ex premier Renzi è evidente, ma si deve scavare più in profondità per capire la crisi del Pd. Renzi è l’emblema di un errore collettivo che ha commesso la politica italiana in questi anni. Concepire la politica solo come una questione di leadership, di un capo partito che governa da monarca e che si sceglie come un re. Di più: hanno scelto i programmi solo nella logica della novità, della modernità come novità. È evidente a tutti che siamo partiti da presupposti sbagliati. È una difficoltà quindi che va oltre Renzi, viviamo gli effetti di scommesse su un ceto politico, o su larga parte di esso, che si è dimostrato deludente».

Sarà la legge elettorale a creare il quadro per le prossime politiche o si sta delineando comunque una nuova ricomposizione dei poli? Centrosinistra, M5S e centrodestra, o il quadro sarà ben più complesso?
«Sono riconoscibili queste forze in campo: una destra semplice, e mi passi il termine un po’ “brutale”, di Matteo Salvini. Una destra più “garbata” di Berlusconi, che mettiamo a destra oggi più che altro per il suo passato che per il suo presente. Poi c’è Grillo, che sta a destra anche lui. In modo mascherato, funambolico, ma con parole d’ordine che con cadenza regolare sono comunque riconducibili a un populismo semplificatorio, sicuramente più di destra che di sinistra. Poi ci sono le “due sinistre”: quella di Renzi e quella di Pisapia, che utilizzano entrambe parole d’ordine classiche del campo progressista. Dentro questo schema è scomparso il centro, non per chissà quali fantasie, semplicemente perché non ha avuto il coraggio di combattere le sue battaglie politiche e culturali».

Silvio Berlusconi è ancora il regista del centrodestra, o se vogliamo allargare il campo della destra italiana? Ci sono novità in vista in termini di alleanze, eventuali eredi da incoronare, predellini vari? Da Arcore cosa bolle in pentola?
«Non saprei, è un ambiente che non frequento da molti anni. E anche quando lo frequentavo non avevo accesso ai circoli ristretti. Ma Berlusconi è a un bivio, anche molto curioso dal punto di vista storico: o resta nei confini della destra e si consegna a quelli, tra i suoi, che lo vogliono rottamare. O si smarca da sé stesso, disconosce di fatto il Berlusconi del 1994, e sceglie di giocare al centro. Allora costruì il centrodestra, oggi dovrebbe separarlo, dando ragione ai vecchi democristiani. Ipotesi remota, ma in ogni caso dovrà fare una delle due scelte».

Quanto il dramma dei migranti, in termini di consenso e radicalizzazione delle posizioni, influenzerà i destini della politica italiana?

«Influenza il nostro paese, la nostra civiltà. Oltre ai risvolti umani, di persone che sono in fuga dalle loro storie e dalle loro case, c’è un risvolto politico. Decidere se siamo un paese affacciato sul mondo o un paese che si chiude in una illusoria roccaforte. Questo atteggiamento non riguarda solo le politiche migratorie, è un atteggiamento mentale: l’Italia è un’isola o una grande nazione aperta al mondo?».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: follini (1), centrodestra (7), renzi (141), pd (20), politica (79)