Il Veneto sarà anche buono. Sì, ma per chi?
Presentato negli scorsi giorni il Rapporto statistico 2014 della regione Veneto: una ventata di ottimismo. E dopo il bello e il ben fatto, un altro aggettivo, il buono, si aggiunge ora alle eccellenze di casa, da far conoscere, valorizzare ed esportare. Ma il futuro sarà equo e piacevole per i consumatori o per tutti i cittadini?
Soltanto tre "b", per un programma futuro ambizioso, visto che su tali prospettive si fondano concrete speranze di uscire dalla crisi.
La regione semplifica, riduce all’osso e tenta una sintesi che non è soltanto la ricerca di un acronimo accattivante ed efficace, ma di più: il tentativo di mettere insieme il passato, non solo recente, ma anzi per molti aspetti remoto e consolidato; il presente, fatto di qualche traballante certezza su una montate precarietà; e soprattutto il futuro sperato.Tre b, dunque, che stanno per buono, bello e ben fatto.
Non c’è molto di nuovo, anche perché l’individuazione degli archetipi, ormai stagionata almeno per i due terzi, è già consolidata e tutto sommato scontata di fronte all’evidenza della storia e degli eventi. Il Veneto è terra di bellezze: naturali, paesaggistiche, artistiche. Un patrimonio sedimentato in secoli di presenze nobili, magari eccessivamente signorili e padronali, ecclesiastiche, piacevolmente rurali; che hanno sparpagliato il territorio di casa di una moltitudine di centri, di luoghi pregiati, di ambiti ricercati. Insomma, qui, nel Veneto, il bello è di casa. Così come in borghi e città, nelle officine e nei laboratori, nei campi e nelle stalle, si è abituati a lavorare (tanto) e con esiti pregevoli. Il “ben fatto”, l’attenzione al “regola d’arte” è una peculiarità soprattutto dei piccoli, degli artigiani, degli uomini di bottega. Questo, peraltro, è il tessuto produttivo ancora portante del sistema locale.
A tutto ciò, la regione ora ha aggiunto anche il buono. Dietro a questo termine potrebbe anche nascondersi un equivoco, riposto mimeticamente nelle pieghe di una visione un po’ estetizzante del termine: buono da gustare, da assaporare? Un buono solo da palato? Prevalentemente agroalimentare? Oppure una bontà diffusa come condizione di vita per molti, per i più, per tutti; una bontà come espressione di solidarietà diffusa, di servizi che funzionano, di esistenza quotidiana all’insegna dell’equità? Il dubbio rimane, almeno stando a quanto emerso dalla presentazione del rapporto statistico regionale e dalle linee evolutive e programmatiche tracciate. Un po’ troppo attente solo ai temi della ripresa, all’aspetto economico, alla necessità di riavviare la macchina: preoccupazioni legittime, visti tempi che corrono, ma non abbastanza per dare spessore e qualità proprio a quel “buono” che dovrebbe essere una caratteristica della terra e della convivenza veneta.
Intanto, in attesa di chiarimenti che non potranno necessariamente essere soltanto concettuali, ma che dovranno incarnarsi nelle scelte del governo di palazzo Balbi, il Veneto si accinge a programmare il proprio futuro proprio sul bello, sul ben fatto e sul buono; da esportare. Il vice presidente Marino Zorzato su questo non ha dubbi: siamo ricchi di meraviglie (naturali e artistiche), siamo ben forniti di eccellenze produttive e siamo in grado di offrire bontà, nei servizi (come la salute), nelle scuole (vedi il posizionamento alto delle nostre università). Avanti, dunque; trasformando i tre accattivanti aggettivi in altrettante scelte di campo e strategiche: cultura, turismo, eccellenze produttive. Percorsi di crescita, sui quali incamminarsi e marciare; con sudore, ma con ragionevole speranza.
Nel numero in distribuzione da sabato 12 e già on line un ampio servizio sul Rapporto staristico regionale 2014.