Legge elettorale, “Pd e Forza Italia ora trovino l’intesa”

Intervista a Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto alla Camera e membro della prima commissione Affari costituzionali, autore di Come funzionano le leggi elettorali. Piccolo manuale delle regole del voto in Italia e nel mondo: “Andare al voto nelle condizioni odierne sarebbe un suicidio per la politica e anche per la nuova legislatura, che durerebbe solo qualche mese senza una maggioranza plausibile”.  

Legge elettorale, “Pd e Forza Italia ora trovino l’intesa”

Le trattative parlamentari per raggiungere un’intesa sulla legge elettorale sono bloccate.
Si è cristallizzata una spaccatura profonda tra la posizione del Pd e quelle degli altri gruppi politici. Fino alla scorso maggio, nelle settimane della possibile larga intesa, M5S e Forza Italia dialogavano per adottare come base il testo dell’Italicum, risultante dall’azione “abrasiva” della Corte costituzionale e l’introduzione di elementi di omogeneizzazione tra Camera e Senato.
Il Pd si muoveva invece nell’ottica di un sistema semi-maggioritario, di fatto un Mattarellum modificato, con l’elezione del 50 per cento dei deputati e senatori attraverso collegi uninominali con scrutinio maggioritario e il restante 50 per cento col sistema proporzionale a lista bloccata (su quella linea potevano convergere la Lega e i parlamentari del gruppo di Raffaele Fitto).

«La forza delle cose impone la ricerca di una soluzione: oltre l’umiliazione per il parlamento che, se non riuscisse a varare una legge elettorale, dovrebbe riconoscere la sua impotenza politica, c’è da considerare l’altissima probabilità di un risultato di stallo se si andasse al voto con i due “lacerti” di formule elettorali lasciati in piedi dalla Corte. Sarebbe un suicidio per la politica e anche per la nuova legislatura, che durerebbe solo qualche mese senza una maggioranza plausibile. Dunque se qualcuno punta al risultato dello stallo, venga allo scoperto e si lasci giudicare dal popolo»,

osserva Pino Pisicchio, in parlamento dal 1987 con le insegne della Dc, autore di Come funzionano le leggi elettorali. Piccolo manuale delle regole del voto in Italia e nel mondo. Attualmente è presidente del gruppo misto alla Camera e membro della prima commissione Affari costituzionali.

Se dovesse fare una previsione: si andrà al voto con l’attuale sistema o ci possono essere novità da qui alla prossima primavera?
«Spero proprio che si riesca a raggiungere il risultato di una nuova e coerente legge. La mia proposta è che si riparta dal Senato: se c’è l’accordo lì, aiutati dal regolamento che non prevede voti segreti, è più facile chiudere l’intesa anche alla Camera».

Quali sono le fratture sino a ora insormontabili tra Pd, M5S e centrodestra? Silvio Berlusconi per natura è un ottimista, mentre il segretario del Pd Matteo Renzi è assai dubbioso sulle possibilità di trovare un accordo.
«Il Movimento 5 Stelle si è messo fuori gioco da solo, dichiarando che non vuole parlare di legge elettorale, se non dopo il voto al Senato sui vitalizi: di fatto non ne vuole sapere più. È obbligatoria un’intesa tra Forza Italia e l’attuale maggioranza di governo. Altrimenti non se ne esce».

Su quale “soluzione elettorale” si potrebbe arrivare a un compromesso?

«La cosa meno complicata da fare è partire da quel che già c’è, e cioè quel pezzo di Italicum sopravvissuto dopo la pronuncia della Corte sulla legge elettorale per la Camera, estendendolo al Senato. Non è la mia formula preferita, ma potrebbe rappresentare un punto di caduta accettabile e realistico». 

«Bisogna procedere con il metodo “a ritroso”: coinvolgere i senatori, a palazzo Madama i numeri sono ancora più precari della Camera, e condividere con loro il punto di approdo. Ricordando che sulle leggi elettorali vige la regola dell’eterogenesi dei fini: chi cerca di costruire un sistema per avvantaggiarsene perde sempre. Basti guardare cos’è accaduto ai costruttori di leggi elettorali battezzati col latinorum di Sartori (Mattarellum, Porcellum, Italicum): tutti perdenti».

È plausibile pensare a una forzatura come il ricorso ad un decreto legge? Lo paventava qualche mese fa lo stesso presidente del Senato Pietro Grasso.
«Chiariamoci: le leggi elettorali le fa il parlamento e non il governo con voti di fiducia. Ma potrebbe essere una forzatura meno indigeribile quella di un voto di fiducia alla Camera dopo l’approvazione al Senato del disegno di legge. La sanzione politica sarebbe offerta dal voto di un ramo del parlamento, i motivi di necessità e urgenza dall’avvicinarsi della scadenza del voto. Il governo dovrebbe solo far propria la legge di iniziativa parlamentare approvata da un ramo e portarla all’altro. Non è il massimo ma ci potrebbe stare».

Il capo dello stato può, nell’ambito delle sue prerogative costituzionali, sollecitare il parlamento con maggiore vigore?
«L’azione di moral suasion del presidente della repubblica è esercitata con l’intelligenza e con la sapienza delle dinamiche costituzionali che tutti sappiamo riconoscere in Mattarella. Dobbiamo fare una legge, ma non una purchessia! Attenzione: siamo l’unico tra i paesi democratici al mondo ad aver fatto quattro leggi elettorali nel giro di 24 anni. Questa sarà – quando sarà – la quinta».

La situazione attuale

Se in quest’ultimo semestre della legislatura i partiti italiani non troveranno la “quadra” per un accordo trasversale, alle prossime elezioni politiche gli italiani voteranno con due leggi elettorali diverse, una per la Camera dei deputati e una per il Senato.

Alla Camera il sistema vigente è di tipo proporzionale, con soglia di sbarramento al 3 per cento: se una lista raggiungesse il 40 per cento dei voti otterrebbe un premio in seggi che le consentirebbe di avere la maggioranza assoluta dei deputati.
Il sistema prevede per ogni collegio dei 100 costituiti un capolista “bloccato” per lista e un elenco di candidati da scegliere con due preferenze (“doppia preferenza di genere”). L’Italicum, mai utilizzato sinora, disciplina l’elezione della sola Camera dal luglio 2016.
Nel gennaio 2017 la Consulta ha dichiarato incostituzionale il turno di ballottaggio, lasciando il premio di maggioranza per la lista che dovesse ottenere il 40 per cento al primo (e quindi unico) turno.
La Corte aveva dichiarato incostituzionale la possibilità per i capilista bloccati che dovessero essere eletti in più collegi di scegliere discrezionalmente l’effettivo collegio di elezione: la scelta viene quindi affidata a un sorteggio.

Al Senato vige invece un sistema proporzionale puro, senza meccanismi premiali di maggioranza.
I collegi e i riparti dei seggi coincidono con le regioni amministrative. La soglia di sbarramento è molto più alta che alla Camera: l’8 per cento, ma scende al 3 per le liste che fanno parte di una coalizione che abbia ottenuto almeno il 20 per cento dei voti.
L’attuale sistema “spaiato”, chiamato Consultellum, è di fatto il risultato residuale di due sentenze della Corte costituzionale.  

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