Pfas, Arpav: «Delocalizzare le aziende perché non si ripeta»

Il neo direttore generale Dell'Acqua: «Programmazione e normativa non possono star dietro allo sviluppo di molecole sintetiche. Bisogna stabilire quali sono le aree da tutelare». E intanto proseguono i controlli sui pozzi, gi alimenti e stanno per partire anche quelli sul plasma umano.

Pfas, Arpav: «Delocalizzare le aziende perché non si ripeta»

Trasferire la Miteni e vietare la produzione di perfluori a catena lunga (Pfoa e Pfos) in Veneto.
Sono queste le due richieste che l’Arpav ha avanzato nel tavolo tecnico regionale sull’emergenza Pfas. Parola di Nicola Dell’Acqua, l’agronomo veronese che da una decina di giorni è stato nominato dal consiglio regionale direttore generale dell’Agenzia per l’ambiente (dopo esserne stato commissario straordinario da luglio).

La parola chiave per Dell’Acqua – che sta gradualmente lasciando la gestione dell’emergenza rifiuti in Campania, dopo aver ricoperto ruoli di vertice in Protezione civile – è programmazione.
«Di fronte a una contaminazione come quella venuta alla luce nel 2013, ciò che una regione può fare è stabilire quali siano le aree da tutelare, trovando una formula per cui non riaccada di nuovo».

Concretamente «occorre definire dei piani di tutela capaci di individuare zone adatte a ospitare l’industria chimica. La produzione di sostanze emergenti, sintetiche come i Pfas, è per sua natura molto veloce, la ricerca segue il mercato. I controlli e la normativa non possono che seguire questa dinamica, non anticiparla, per questo è necessario preservare l’ambiente e la salute dei cittadini».

Cosa significhi questo nel caso specifico della Miteni, che Arpav ha individuato fin dal 2013 come origine della contaminazione, Dell’Acqua lo spiega in poche parole.
«Proviamo a immaginare: se lo stabilimento si fosse trovato nella bassa pianura veneta, il plume della massa inquinante sarebbe stato molto più ridotto e l’acqua intaccata dai Pfas si sarebbe dispersa immediatamente in mare. Per questo è fondamentale scegliere le sedi adatte per questo tipo di industrie, quanto meno evitando di sistemarle sopra un bacino di falda in movimento come quello di Almisano e per lo più vicino ai pozzi di pescaggio dell’acqua potabile. È una questione di sostenibilità per la chimica, significa anche tutelare l’importante distretto conciario che si trova in zona».

Dal 2013 alla primavera di quest’anno Arpav ha condotto sei campagne di controlli sulle acque sotterranee, raccogliendo 825 campioni in 248 punti di prelievo.

A oggi i dati più preoccupanti arrivano da Lonigo, dove la concentrazione totale di Pfas supera i 2.300 nanogrammi per litro, mentre a Montagnana si è rilevato il secondo valore più alto (471). Ma grazie all’azione dei (costosissimi) filtri a carboni attivi, come sottolinea il direttore generale, l’acqua è potabile e l’uomo è di fatto fuori dalla portata dei perfluori. Negli scorsi mesi, Arpav ha iniziato una nuova indagine attorno a Noventa Vicentina e poi nella Bassa padovana per controllare se l’area contaminata non si sia allargata.

Dove si continuano a rilevare eccedenti presenze di Pfos è invece sugli scarichi industriali, che il consiglio regionale pochi giorni fa, su proposta di Cristina Guarda (Alessandra Moretti presidente), ha stabilito di controllare da vicino.
«Le aziende prelevano acqua già contaminata dalla falda – spiega Dell’Acqua – e la smaltiscono in depuratore, naturalmente, ancora inquinata. L’idea di sigillare i pozzi e impedire alle aziende di fare questa operazione tuttavia non è vincente: non abbiamo la certezza che chiudendo il bacino il problema si risolverà. In questo modo, invece, i filtri posti nei depuratori, finiscono col filtrare l’acqua».
Questo processo tuttavia è esattamente ciò che negli anni – almeno 40 da quando l’allora Rimar ha iniziato la sua attività a Trissino – ha trasportato la contaminazione dalle acque sotterranee a quelle superficiali.
In questo senso il maggior elemento di criticità si chiama collettore Arica, il tubo che raccoglie le acque dei depuratori di Arzignano, Montebello, Montecchio Maggiore, Trissino e Lonigo e le trasporta nel Fratta Gorzone, il bacino più contaminato con il Bacchiglione.
E infatti nei prossimi mesi la frequenza dei controlli a monte e a valle dello scarico Arica da mensili diventeranno settimanali.
«Stiamo parlano di sostanze minuscole e presenti ovunque – conclude il direttore generale – anche se in percentuali così piccole da non dover neppure essere dichiarate nelle etichette. Per questa ragione abbiamo dato vita a un piano di controllo della diffusione dell’inquinamento tramite l’utilizzo di prodotti che possono contenere Pfas».
Un’iniziativa che si è tradotta in controlli su 78 discariche regionali con il prelievo di 242 campioni in tutte e sette le province e che si concluderà entro fine anno.

Nel frattempo, grazie all’acquisto di nuovi macchinari per un milione di euro, Arpav procederà alle analisi del plasma dei cittadini che rientreranno nel biomonitoraggio voluto dalla regione e in fase di avvio in questi giorni.
Inoltre sta procedendo al campionamento degli alimenti in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico. Sempre sul fronte delle imprese agricole, stanno partendo i controlli (inizialmente gratuiti) sui pozzi privati utilizzati per abbeverare gli animali.
Infine, in vista della collaborazione tra Agenzie regionali prevista dal Sistema nazionale di protezione dell’ambiente che entrerà in vigore il 17 gennaio, Arpav ha già iniziato le analisi su campioni contaminati da Pfas provenienti dalla Lombardia.

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