Cento preti a Conetta con i migranti: per noi siete Provvidenza

Un centinaio di preti della diocesi ha partecipato all'incontro formativo di giovedì 18 maggio proposto dall'istituto San Luca. Un segno di vicinanza ai richiedenti asilo in attesa di futuro; agli operatori che ogni giorno svolgono un lavoro non facile; alle unità pastorali di Cona e Agna, da due anni in prima linea.

Cento preti a Conetta con i migranti: per noi siete Provvidenza

È stata la voglia di capire, di toccare con mano, al di là degli stereotipi e delle ricostruzioni dei media, ad attrarre a Conetta, giovedì 18 maggio, un centinaio di preti padovani.
A varcare i cancelli della vecchia base militare, oggi trasformata dalla prefettura di Venezia in centro di prima accoglienza per migranti, sacerdoti da tutta la diocesi: parroci dell’Altopiano, direttori di uffici pastorali, sacerdoti attivi nella Bassa, missionari appena rientrati, che hanno preso parte alla giornata di formazione proposta dall’Istituto San Luca.

Ad accoglierli 1.200 giovani uomini di venti diverse nazionalità, un’età media di 23 anni.
E una quarantina di operatori, altrettanto giovani, assunti dalla cooperativa Edeco di Battaglia Terme che gestisce l’hub di Conetta, oltre a quello di San Siro di Bagnoli - altri 700 migranti, a una decina di chilometri.

«Siamo qui per portare un segno di vicinanza», ha chiarito don Luca Facco, direttore di Caritas Padova, che da un anno coordina un gruppo di lavoro della chiesa di Padova sul fenomeno migratorio di cui fanno parte anche l’ufficio di pastorale sociale, Migrantes, il centro missionario, alcuni parroci coinvolti e l’ufficio stampa. «Vicinanza anzitutto ai ragazzi accolti qui, in attesa di un futuro, ma anche agli operatori, perché non è semplice lavorare in un luogo come questo».

Le comunità in prima linea
Un luogo che sta a cuore alla chiesa padovana. Lo dimostra la nomina, disposta dal vescovo Claudio, di padre Lorenzo Snider della Sma come assistente spirituale di entrambi i centri di accoglienza. Ma lo testimonia anche il cammino fatto dalle comunità cristiane sul cui territorio sorgono gli hub.
I primi arrivi risalgono a due anni fa – ha detto don Stefano Baccan, parroco dell’unità pastorale di Cona di fronte ai confratelli – da allora abbiamo fatto molta strada. Quello che ci è capitato è un problema? Noi lo stiamo vivendo più come Provvidenza e grazia. È un’opportunità per cambiare atteggiamento e smontare il pregiudizio nei confronti di questi fratelli»

La realtà sul territorio è molto diversa da quella descritta da giornali e tv: «Non dimenticherò mai quella prima domenica in cui la base era stata riaperta – continua don Stefano – Per la messa delle 11.15, alcuni giovani migranti erano in chiesa già alle 10. Nessuno dei fedeli li ha evitati, tutti hanno stretto loro le mani in segno di pace. Da allora, la loro presenza è una costante delle nostre feste».

Un’esperienza condivisa dall’unità pastorale di Agna, dove sorge l’hub di San Siro.
«Grazie a una serie di incontri organizzati in tutto il vicariato, abbiamo superato la barriera dell’anonimato – ha raccontato don Raffaele Coccato – I numero sono diventati volti, storie. Dopo lo scambio di conoscenze, le persone hanno aperto gli occhi».

Per le comunità in prima linea l’attenzione della diocesi è fondamentale. La loro realtà oggi è organica alla chiesa di Padova, pienamente inserita nell’ordinarietà.
Cona e Agna non sono uno strano fenomeno dei tempi moderni, ma la prova tangibile che accogliere si può.
Anche in situazioni di emergenza. Anche se assembramenti di queste dimensioni non sono la soluzione ideale per preservare la dignità di persone fuggite da guerre o carestie.

Le testimonianze
Prima dell’affresco generale sui flussi migratori tratteggiato da Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas Italiana, intervengono Gabriel, 38 anni, del Camerun.
E poi Eugene, richiedente asilo ma anche pastore protestante. Infine Silla Aboubacar, della Guinea, ha rievocato il dramma del viaggio attraverso il Mali e la Libia («Che Dio ci protegga da quello che abbiamo visto a Sabah e che ci hanno fatto gli Asma boys»). Nelle loro parole ritorna il ringraziamento per gli operatori e la cooperativa.

E poi una certezza: «Siamo accolti in casa d’altri. Abbiamo un dovere: rispettare le regole, integrarci nella cultura italiana». Sono parole di Gabriel, che ricorda il primo viaggio a Padova, per recarsi in prefettura: «Siamo saliti in 23 sull’autobus. Tutti gli italiani presenti sono scesi, alcuni turandosi il naso. Ci siamo sentiti abbattuti, arrabbiati».
Ma poi l’intuizione: «Non solo l’Italia può ospitarci, anche noi possiamo fare qualcosa per l’Italia». E così, con creatività, Gabriel ha messo insieme un gruppo di giovani e si è dedicato alle pulizie attorno alla chiesa di San Siro. Il pastore Eugene, ogni venerdì a Conetta, spiega ai suoi senza fare sconti che cosa significa essere cristiani nel- l’hub. Parla di perdono e di amore, di carità e di umiltà.

«L’esperienza della sofferenza è parte della vita, va accettata – scandisce, e poi aggiunge – Non basta dirsi cristiani, la gente guarda a come ti comporti».

La presenza della chiesa
Conetta oggi è un crogiolo di religioni e aspirazioni, il simbolo plastico del fallimento della politica migratoria non solo italiana, ma europea. Nella ex base è tangibile il fenomeno che contraddistinguerà il prossimo ventennio: il futuro, non solo di questi giovani migranti, passa da qui.

Passa dai pasti caldi – riso con pomodoro e tonno e poi carne e verdura – che preti e richiedenti asilo hanno condiviso. Passa dai grandi tendoni, che qui sorgono da un giorno all’altro su ordine del prefetto di Venezia, sotto i quali si dorme anche in 180, ognuno con un letto a castello – sopra si dorme per catturare un po’ del fresco dei ventilatori, sotto si stipa il bagaglio.

Passa anche dall’azione della chiesa di Padova, che non è qui per aiutare i migranti, come ha spiegato bene padre Lorenzo Snider, «ma per dare la giusta considerazione e il giusto valore a ognuno. Ci sono persone straordinarie tra i ragazzi e gli operatori, purtroppo massificati come numeri. Sono semi gettati dal Signore anche in una realtà difficile, costituiscono un’opportunità speciale da cogliere».

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