Il papa in Egitto: «Il nome di Dio è pace, salam»

L'eco dello storico viaggio di papa Francesco in Egitto, il 28 e 29 aprile, non si è ancora spento. In uno dei momenti chiave del "pellegrinaggio di pace" del pontefice nel Paese perno di tutto il Medioriente, la conferenza di pace all'università di Al Azhar, tant il santo padre quanto il grande imam Al-Tayeb hanno speso parole e compiuto gesti che segnano il cammino che porterà alla distinzione definitiva delle logiche che sottendono al terrorismo diffuso e i fatti di fede. Un viaggio in cui la fraternità fra il papa cattolico, il papa copto Tawadros II e il patriarca di Costantinopoli è apparta in tutta la sua plasticità, in nome di quell'ecumenismo del sangue più volte evocato da papa Bergoglio in precedenza.

Il papa in Egitto: «Il nome di Dio è pace, salam»

La calorosissima accoglienza che gli ha riservato il popolo egiziano e l’evidente identità di vedute con il papa copto ortodosso Tawadros II e il grande imam lo sceicco Ahmad Al-Tayeb di Al Azhar, l’università punto di riferimento per tutto l’islam sunnita.

Sono questi gli elementi che fanno dello storico viaggio in Egitto di papa Francesco, gli scorsi 28 e 29 aprile, un successo su tutta la linea.

Una due giorni dal grande significato ecumenico, specie dopo i recenti attentati della domenica delle Palme che hanno colpito due chiese copte. Ma l’attesa era alta sopratutto per i risvolti possibili dal punto di vista del dialogo cristiano-islamico, riacceso negli ultimi mesi dopo la freddezza palpabile che si era imposta dal 2006.

La fraternità con i musulmani

Non a caso, il primo atto in terra egiziana da parte del papa è stato l’intervento alla conferenza di pace organizzata proprio dal grande imam di Al Azhar, che ha fortemente voluto il papa al suo fianco in questa occasione.

Il nome di Dio è santo, è pace, è salam, ha detto il papa in uno dei passaggi più importanti del suo discorso, più volte interrotto dagli applausi, perciò «solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome».

Tutto si è svolto in un clima di grande stima e amicizia. Il papa ha chiamato Al-Tayeb «fratello», con qualche imprevedibile «bravo» che si è alzato dalla platea all’indirizzo del pontefice. Uno scenario impensabile qualche tempo fa. D’altronde è il tempo attuale a chiedere gesti coraggiosi di pace. Nel prendere la parola, il grande imam ricorda le tragedie di guerra che sono disseminate sulla terra e obbligano migliaia di uomini e donne a fuggire migranti dalle loro case e a rischiare la vita lungo le vie del deserto e del mare.

Stiamo vivendo – ha detto – «una delle più grandi tragedie della storia umana». E le grandi tragedie umane chiedono oggi soprattutto ai leader delle fedi religiose di uscire dall’isolamento per unirsi a tutte le forze di bene esistenti sulla terra.

Il discorso del papa è articolato e complesso. Diretto e senza giri di parole, ricorda il comandamento «non uccidere» al centro delle dieci parole consegnate dal Dio di Mosè proprio sul monte Sinai. «In quanto responsabili religiosi siamo chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità».

«Ripetiamo un no forte e chiaro a ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica».

L'ecumenismo del sangue

Violenza che il popolo egiziano conosce da vicino. A pagare il tributo più pesante e doloroso della minaccia terroristica è la comunità copta ortodossa dell’Egitto. Una comunità che con il sangue dei martiri sta dando testimonianza di un cristianesimo capace di rispondere con l’amore all’odio, con il perdono alla tentazione di vendetta. Cuore e anima di questa comunità è papa Tawadros II, il “fratello” copto-ortodosso di papa Francesco.

«La nostra patria ha ancora le ferite aperte ed è pervasa dalla tristezza», ha detto. L’incontro avviene nel Patriarcato copto-ortodosso del Cairo. «Rinforzati dalla vostra testimonianza – dice con voce ferma e commossa papa Francesco – adoperiamoci per opporci alla violenza predicando e seminando il bene, facendo crescere la concordia e mantenendo l’unità, pregando perché tanti sacrifici aprano la via a un avvenire di comunione piena tra noi e di pace per tutti».

La preghiera comune davanti al muro dei martiri nella chiesa di San Pietro, dove lo scorso 11 dicembre persero la vita 29 persone in seguito a un attacco terroristico. La presenza anche del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, è segno che nell’ecumenismo del sangue l’unità tra le chiese è già raggiunta.

La piccola comunità cattolica egiziana

A concludere il viaggio di Francesco è stata la messa con la minuscola comunità cattolica d’Egitto (300 mila fedeli, una minoranza nella minoranza copta) allo stadio dell’aeronautica militare del Cairo. Oltre 25 mila persone, tra cui anche alcuni di fede musulmana, hanno affollato gli spalti dell’impianto: una sorta di miracolo se si pensa che solo tre settimane prima nelle chiese erano scoppiate le bombe.

È stato il giorno della festa della minuscola comunità cattolica egiziana, quello di sabato al Cairo.

«Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! – ha detto senza ammettere dubbi papa Bergoglio – Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui!». La vera fede, ha aggiunto il papa, «è quella che ci porta a proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri. In realtà, più si cresce nella fede e nella conoscenza, più si cresce nell’umiltà e nella consapevolezza di essere piccoli».

Una vera e propria esortazione a non chiudersi in se stessi, nonostante le difficoltà presenti che interpellano tutti i cristiani del Medio Oriente.

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Fonte: Sir