L'abbraccio del papa ai cattolici del Myanmar

La visita del papa in Myanmar. La messa con la piccola comunità cattolica e l'incontro con le autorità del paese asiatico: «Il futuro del Paese dipende dal rispetto di tutte le etnie»

L'abbraccio del papa ai cattolici del Myanmar

«Prima di venire in questo Paese, ho atteso a lungo questo momento».

È il saluto de lpapa alle centinaia di migliaia di fedeli che hanno assistito alla messa al Kyaikkasan Ground di Yangon, celebrata alle 8.30 locali (le tre di notte in Italia) di mercoledì 29 novembre.

«Molti di voi sono giunti da lontano e da remote aree montagnose, alcuni anche a piedi - ha proseguito Francesco riferendosi al popolo cattolico birmano, che costituisce l’1,7 per cento della popolazione - Sono venuto come pellegrino per ascoltare e imparare da voi, e per offrirvi alcune parole di speranza e consolazione».

Francesco ha scelto questo intensissimo momento di chiesa per spiegare lospirito del viaggioapostolico in Myanmar di fronte ai credenti birmani. Il nucleo forte della presenza, per la prima volta nella storia, di un papa in questo paese sta tutto nella condivisione della fede, nella fraternità fra chiese con origini e tradizioni agli antipodi, che pure hanno ognuna da imparare qualcosa dall’altra. A fronte delle numerose cronache e analisi di stampo geopolitico incui i media di tutto il mondo si sono prodigati in questi giorni di viaggio – a partire dalla transizione dal regime militare a quello democratico in cui versa il paese e dal genocidio in atto del popolo Rohingya - nella mente del papa argentino è fissa anzitutto l’idea di rendere salda una relazione, di mettere al centro dell’agenda ecclesiale mondiale anche questa che solo a prima vista può apparire una insignificante periferia.

«Gesù non ci ha insegnato la sua sapienza con lunghi discorsi o mediante grandi dimostrazioni di potere politico e terreno, ma dando la sua vita sulla croce», ha annunciato il papa sulla scorta delle letture del giorno.«Qualche volta possiamo cadere nella trappola di fare affidamento sulla nostra stessa sapienza, ma la verità è che noi possiamo facilmente perdere il senso dell’orientamento. In quel momento è necessario ricordare che disponiamo di una sicura bussola davanti a noi, il Signore crocifisso».

«Nella croce, noi troviamo la sapienza, che può guidare la nostra vita con la luce che proviene da Dio - ha assicurato Francesco - Dalla croce viene anche la guarigione. Là Gesù ha offerto le sue ferite al Padre per noi, le ferite mediante le quali noi siamo guariti. Che non ci manchi mai la sapienza di trovare nelle ferite di Cristo la fonte di ogni cura».

La messa ha dunque aperto il secondo e ultimo giorno interamente dedicato al Myanmar,che ha visto il papa incontrare anche il consiglio supremo “Sangha” dei monaci buddisti, prima della partenza di Jorge Mario Bergoglio per il Bangladesh. Il giorno precedente era invece stato caratterizzato dall’incontro con le autorità, la società civile e con i membri del corpo diplomatico, al Myanmar international convention center di Nay Pyi Taw (la nuova capitale), dove è stato accolto dal consigliere di Stato e ministro degli Esteri, il premio Nobel Aung San Suu Kyi.

«Il futuro del Myanmar – è stato l’appello del papa - dev’essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo, nessuno escluso, di offrire il suo legittimo contributo al bene comune».

Pur senza menzionare esplicitamente la minoranza musulmana dei Rohingya, Francesco ha affermato che «l’arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani».

Un appello «benvenuto» anche per Amnesty international: «La visita di papa Francesco ha contribuito ad attirare l’attenzione internazionale su Myanmar e sugli orrendi crimini che vengono commessi quotidianamente contro la popolazione Rohingya», ha dichiarato Ming Yu Hah, vicedirettrice delle campagne sull’Asia sudorientale e il Pacifico della ong umanitaria, pur sottolineando il dispiacere che papa Francesco non abbia utilizzato la parola Rohingya durante il viaggio, come gli avevano chiesto i vescovi locali, per non infiammare il clima già teso nel paese.

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Fonte: Sir