Sabato 11 febbraio la Giornata mondiale del malato e lo stupore per l'opera di Dio

L'11 febbraio si celebra la 25a giornata mondiale del malato. A Padova la consueta celebrazione eucaristica al Santo, alle ore 16, presieduta dal vescovo Claudio. Ma la strada per favorire lo sviluppo di una pastorale ordinaria ed efficace verso i malati e i sofferenti si interseca con l'attività di altre realtà e uffici diocesani, a partire dalla pastorale della famiglia e dei migranti. Per giungere ad una scuola di operatori parrocchiali a 360 gradi.

Sabato 11 febbraio la Giornata mondiale del malato e lo stupore per l'opera di Dio

Quest’anno la Giornata mondiale del malato, l’11 febbraio, parla di “stupore per quanto Dio compie: grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente (Lc 1,49)”. Papa Francesco ha scelto questo tema per la 25a edizione della giornata istituita da Giovanni Paolo II nel 1992 e celebrata la prima volta a Lourdes un anno dopo.

Una ricorrenza che, come scrive il santo padre nel suo messaggio, è

«occasione di attenzione speciale alla condizione degli ammalati e, più in generale, dei sofferenti; e al tempo stesso invita chi si prodiga in loro favore a rendere grazie per la vocazione ricevuta dal Signore».

«Questa ricorrenza – continua il messaggio del papa – rinnova nella chiesa il vigore spirituale per svolgere al meglio quella parte fondamentale della sua missione che comprende il servizio agli ultimi».

E proprio per gli ammalati e i loro familiari è pensato il consueto appuntamento organizzato dalla diocesi di Padova: sabato 11 alle 16 in basilica di sant’Antonio, il vescovo Claudio presiede la celebrazione eucaristica.

«L’appuntamento assume una connotazione speciale quest’anno – interviene don Giuseppe Cassandro, direttore dell’ufficio diocesano di pastorale della salute e della sanità – Lourdes è luogo simbolo perché lì si condensano le speranze e la ricerca di una luce che aiuti a dare senso alla vita del malato. Oggi il messaggio del papa va situato all’interno di un’evoluzione della sanità. Dalla riforma del 1978, in cui si è fatta la scelta universalistica della cura, c’è stato un cambiamento molto forte: resta il concetto della cura per tutti, ma non è più solo accogliere il malato e accompagnarlo nella fase acuta. Oggi è il tempo dell’accompagnamento a fare la differenza. Gli ospedali sono luogo di cura nella fase acuta poi il malato torna a casa oppure va in strutture private. La fase della cura e dell’accompagnamento è lasciata in buona parte alle famiglie. Un tempo la pastorale era negli ospedali ora invece il malato in casa riversa esigenze sulle famiglie e sulle comunità parrocchiali. Ecco dunque che la pastorale della salute diventa sempre più ordinaria».

L’ammalato, la famiglia e chi se ne prende cura: l’attenzione, la premura, l’amore impegnano moltissimo e spesso rischia di mettere in crisi l’armonia, la serenità, quasi la sopravvivenza delle famiglie che si ritrovano a trascurare altri momenti e aspetti della vita quotidiana come la cura dei figli o l’ambito lavorativo.

Le strutture pubbliche hanno un compito e una responsabilità precisa, ma le comunità cristiane come rispondono a questa urgenza? Sono pronte? Quali possibilità ci sono per le famiglie? E come opera la pastorale?

Tra i servizi in cui si concretizza ci sono le cappellanie ospedaliere dove operano équipe di persone, religiosi e laici, che si occupano della cura spirituale delle persone. «È un servizio – spiega Gianna Rosso, 57 anni, dal 2011 nella cappellania dell’ospedale di Cittadella – che spesso richiede il silenzio.

Ci si accosta al letto del malato, gli occhi parlano, si crea una sintonia particolare e si viene accettati. In realtà è Lui che viene accolto, noi portiamo il Signore. Di fronte a certe sofferenze si crea un blocco, ma bisogna “ardere e non bruciare”. Si prega insieme, si propone senza invadere. Si impara ad ascoltare».

Il papa ricorda che ogni malato è sempre un essere umano e invita gli operatori sanitari a considerare Bernardette modello di carità cui fare riferimento. «Oggi si parla sempre più di una pastorale ordinaria – conclude don Cassandro – È necessario quindi pensare a dei percorsi che siano formazione, sostegno e che integrino realtà diverse. La Caritas, la pastorale della famiglia, quella dei migranti: il malato non è più situazione specifica di un unico ufficio, ma deve essere pensiero trasversale. È necessario progettare una scuola per operatori della pastorale nella comunità parrocchiale. Bisogna far crescere una sensibilità più accentuata con ritmi, tempi, attenzioni precise. Pensiamo a papa Francesco e all’attenzione che ha per gli ammalati e i sofferenti al termine di ogni udienza. Pensiamo anche a Gesù che manifestava una sorta di preferenza per chi soffre. Dovremmo interrogarci come comunità cristiane su cosa facciamo, ognuno con competenze proprie, nei confronti del malato».

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