Venti preti raccontano il Marocco

Otto giorni tra il deserto, la fertile pianura e i monti del Marocco. Venti preti della nostra diocesi, degli incarichi e delle età più differenti, raccontano questa esperienza unica, in un paese «che respira Dio, qualsiasi sia il suo nome», fatta di incontri, di spiritualità e di natura.

Venti preti raccontano il Marocco

Dal 19 al 27 Ottobre con 20 preti della nostra diocesi, su proposta dell’Istituto San Luca, Hub e Villa Immacolata, abbiamo vissuto un’esperienza intensa nella terra del Marocco. Il luogo in cui san Francesco inviò i suoi cinque frati, poi decapitati. Il luogo dove abbiamo incontrato Jean Pierre, unico superstite dei monaci di Tibhirine i quali nel 1996 hanno vissuto il martirio. Di loro sette hanno trovato solo le teste. Proprio come i primi francescani. Cosa significa essere cristiani in terra musulmana? Come è stata quest’esperienza? Ho chiesto qualche commento a caldo ai partecipanti. Lasci a loro la parola.

Don Federico Giacomin, direttore di Villa Immacolata

  

«L’incontro con un mondo diverso, una cultura, una civiltà, perfino una religione è stata una bella occasione di riflessone e di ricchezza – racconta don Nicola De Guio, parroco dell'up di Canove, Tresche Conca e Cesuna – Mi interrogo sulla fede che vivo, su ciò che caratterizza la mia umanità e allo stesso tempo, cosa ritrovo nella fede e nell’umanità degli altri. Ritengo importante il dialogo, quindi la relazione che ha bisogno di non avere pregiudizi e di scoprire il bene che nasce tra le persone.

«È stata un’esperienza innanzitutto di viaggio – aggiunge il parroco di Saletto e Terraglione, don Alesandro Pedron – Viaggiare significa vedere, conoscere, imparare, relativizzare aspetti e problematicizzarne altri. È stata esperienza di bellezza, immersione nella natura, nei grandi spazi profondi di silenzio, come il deserto, spazio interiore. È stata occasione di incontro con altri popoli, con religione diverse, continua ricerca di ciò che ci unisce, cioè l’umanità. È stato ridimensionare e interrogarsi sulla propria fede, soprattutto quando si è minoranza e c’è libertà relativa di professare la propria fede. Rivoluzionare l’idea di missionarietà e di pastorale. Un esperienza di diocesanità tra preti, tra diversità di età, opinioni e visioni. È stato spazio di relax fuori dai soliti spazi “ecclesiali”».

Don Carlo Tosetto, già parroco del Torresino, aggiunge: «Marocco: più bello di come lo pensavo. Deserto: di grande fascino. Montagne mozzafiato. Pianura fertile. Gente migliore di come la pensavo. Qualche illusione di uomo sul dialogo interreligioso. Mi sono ripetuto più volte: com’è bello essere cristiani oggi!». 

«Dio è più grande di noi, di me, di quanto vivo e credo. Mi affido alla sua grandezza: spero non sminuita e desidero non venga sminuita da nessun credente. A Dio spetta tutta la dignità che merita. A lui chiedo di custodire questo Paese, i cui profumi, colori, volti e storie salgono verso il cielo, preghiera silenziosa, preghiera che Cristo già conosce e che diventa pane anche per la mia Eucaristia quotidiana». Così don Giuliano Zatti, vicario generale della diocesi.

«Ho desiderato questo Marocco per assaporare l’esperienza che ha vissuto fratel Charles De Foucauld nella sua giovinezza – confida don Vittorio Pistore, vicario parrocchiale nell'up della Guizza – L’età ci accomuna e anche la ricerca di Dio che può riempire di senso quel deserto che spesso si crea attorno a noi. Esiste un deserto silenzioso dentro di me che chiede di curare il pozzo per far nascere una nuova oasi. So che il Signore è sorgente della mia vita, ma è più facile aspettare un aiuto, una carovana di passaggio, che rimboccarmi le maniche. In Marocco posso dire di aver percepito un’umanità che respira Dio, qualsiasi sia il suo nome e non se ne può fare a meno, come l’acqua!».

La conclusione è di don Vito Di Rienzo, assistente diocesano Acr. «Odori, profumi, colori… contrasti forti di luce, di pensieri, di ricchezza e povertà. C’è spazio per questo e molto altro in questo viaggio, luogo in cui stare con il cuore e con la mente, anche per gli spostamenti che ci hanno permesso di abbracciare buona parte del territorio di questo paese. Un abbraccio che trattiene una natura verdeggiante, architetture affascinanti, tradizioni e culture incontenibili come una manciata di sabbia del deserto che ti scivola tra le mani, sguardi profondi e sorrisi luminosi come le piccole tessere che accompagnano, mosaici variopinti e stemmi e decorazioni di rara bellezza. Fede, spiritualità, viaggio interiore, esperienza che porterà frutto, nel tempo, come una palma che dona i suoi datteri alla mano tesa che cerca nel deserto un ristoro. Oasi per il cuore».

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