A Praglia “Armonie composte”: le periferie come spazio vitale d’incontro

Parlare delle periferie urbane come opportunità: è la sfida che anima il secondo anno del progetto “Armonie composte” che dal 2015 unisce abbazia di Praglia e università di Padova, nei dipartimenti di scienze storiche, geografiche e dell’antichità e di ingegneria, in un comune cammino di studio e proposta. Prossimo appuntamento al centro convegni dell’abbazia di Praglia sabato 20 maggio, dalle 14.45 alle 18.

A Praglia “Armonie composte”: le periferie come spazio vitale d’incontro

L’iniziativa si articola in un ciclo di seminari intorno al paesaggio monastico curato da Gianmario Guidarelli ed Elena Svalduz che sfociano in un incontro conclusivo aperto al pubblico.
L’anno scorso si è parlato di paesaggio monastico e paesaggio nell’arte.
Quest’anno, a conclusione del seminario dedicato alla periferia, curato da Benedetta Castiglioni e Stefano Zaggia, viene organizzato un incontro pubblico moderato da Giovanna Valenzano che si tiene al centro convegni dell’abbazia di Praglia sabato 20 maggio, dalle 14.45 alle 18.
In questa occasione ci si propone di condividere con il pubblico una sintesi delle riflessioni emerse durante i due giorni precedenti, a proposito delle esperienze di costruzione delle periferie alla luce della cultura monastica.
È stato quindi chiesto ad alcune personalità della cultura di confrontarsi su questi temi: Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera, introduce i lavori. Successivamente intervengono Enzo Bianchi, già priore della comunità monastica di Bose, Giuseppe Cappochin, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, e Antoni Vives i Tomàs di City transformation agency di Barcellona, protagonista di un’operazione di rivitalizzazione delle periferie della città spagnola che si vorrebbe ora esportare in tutto il mondo.

Gli organizzatori si propongono «di verificare se la periferia, piuttosto che come luogo del degrado, possa essere ripensata come laboratorio di convivenza e come paesaggio umanistico, ricco di valori e di speranza». Periferia come un crogiolo di novità, un luogo dove nascono altri tipi di relazioni, una fonte di legami comunitari da cogliere e valorizzare.

L’aspetto più interessante dell’esperienza, secondo Benedetta Castiglioni docente di geografia all’università, è quello di aprire a una pluralità di punti di vista, di sguardi, di tagli disciplinari che si incrociano tutti attorno a questi temi.

«È un gioco a incastro di concetti diversi per dare una dimensione concreta, fisica, della periferia come margine della città in cui storicamente possiamo collocare la costruzione dei monasteri e nello stesso tempo delineare l’immagine del monastero come luogo “del mondo, ma non nel mondo”, che sceglie di essere discosto dal centro della città, lontano dalla congestione del centro e contemporaneamente non avulso dal mondo».

Il programma dei lavori seminariali mette insieme sia una dimensione storica, con alcuni sguardi alle periferie di ieri (vedi l’intervento di Giovanna Valenzano sulle fondazioni monastiche ai margini del mondo nel 12° secolo), con le esperienze più attuali, come quella esposta da Raul Pantaleo dello studio Tam associati - gruppo 124 progetto periferie di Renzo Piano, cercando progetti riusciti, con o senza la presenza dei monasteri, ma anche esperienze in cui monasteri del passato vengono riscoperti oggi come punti di forza.

Questo filo conduttore permette di tenere assieme la dimensione materiale della periferia con una più immateriale, che la legge come luogo di incontro e ne coglie la centralità non fisica ma significante della vitalità della città.

La regola di san Benedetto ha molto da dire rispetto alle buone regole del vivere comune, per cui gli sguardi incrociati del monastero e della ricerca, che continuano a rimandarsi l’uno all’altro, stanno dando buoni frutti.
In questa dimensione il monastero riesce a essere un luogo di armonia dello spirito, del pensiero, della bellezza, un ambiente umanistico di accoglienza, di comunicazione, e come tale può diventare una proposta diversa per intendere le periferie delle città.
«In questa luce ci soffermiamo – spiega ancora Benedetta Castiglioni – sull’idea del margine del confine inteso non come separatezza, frattura, ma come punto d’incontro; non vogliamo immaginare le periferie come luoghi brutti e degradati, avendo quindi un approccio negativo, quanto piuttosto assumere un approccio critico che vada a coglierne le criticità, però anche a individuare quegli elementi di ricchezza presenti, individuare buone pratiche, modelli di convivenza, di dialogo, di comunicazione. Cercando di andare un po’ in profondità, grazie anche agli spunti che vengono dall’esperienza monastica che legge le periferie come luoghi di comunità».

Comunità diventa quindi la parola chiave: le periferie come comunità che non sono centrali rispetto alla città, ma che diventano nuovi centri per gli abitanti che le vivono e le costruiscono, attraverso un’attenzione al bene comune, alle risorse che non provengono solo dall’esterno, ma che vengono attinte dalle persone che vi abitano e che vi si mettono in gioco.

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