Dio nei frammenti nella mostra del padovano Marco Maria Zanin

Attivo tra Padova e San Paolo del Brasile, Marco Maria Zanin con le sue opere porta a riflettere sulla sacralità della “pietra scartata”, sia quella delle demolizioni compulsive della megalopoli brasiliana che quella dei relitti rurali veneti, per costruire un nuovo universo e un nuovo cammino.

Dio nei frammenti nella mostra del padovano Marco Maria Zanin

Sono lontani (forse non sono mai esistiti) i tempi in cui la fotografia era considerata specchio fedele della realtà. Di certo non è questa l’accezione con cui la usa nelle sue opere Marco Maria Zanin, giovane artista padovano, che espone fino al 16 luglio nella galleria civica di Modena.

La personale, curata da Daniele De Luigi e Serena Goldoni, ha un titolo emblematico e programmatico, “Dio è nei frammenti”, e si compone di opere fotografiche e scultoree che esplorano il tema della memoria e delle radici della società contemporanea mediante un’opera di reinterpretazione degli scarti prodotti dal tempo. Detriti e oggetti che Zanin interpreta come sintomi della sopravvivenza, lungo le epoche, di valori umani archetipici.

Due i filoni di ricerca artistica, che si collocano sull’asse dell’esperienza biografica di Zanin e, contemporaneamente, sulla rotta che molti veneti come lui hanno compiuto tra Otto e Novecento, e tuttora continuano a seguire, in altre forme. La rotta è quella dell’emigrazione verso l’America, anzi “le Americhe”, che ha portato milioni di veneti tra Otto e Novecento a varcare l’Atlantico. L’esperienza personale è quella di un giovane, classe 1983, che si è laureato prima in lettere e filosofia e poi in relazioni internazionali, con un master in psicologia, e che dopo vari viaggi e soggiorni in diversi paesi del mondo si è fermato a San Paolo del Brasile, dove risiede alcuni mesi all’anno e che è diventata la sua seconda patria (la mostra modenese, per inciso, è patrocinata dall’ambasciata del Brasile).

«In mostra – spiega Zanin – ho raggruppato i lavori fatti negli ultimi due anni seguendo la mia ricerca sul frammento: cerco di esprimere la sacralità nascosta in questi residui, scartati dall’uomo e dal modello del capitalismo, seguendo due poli. Da un lato sono frammenti che vengono dalle demolizioni compulsive della città di San Paolo, edifici costantemente costruiti e distrutti per far posto ai nuovi; dall’altro ci sono le rovine di vecchi casolari, cascine, magazzini, che fanno parte della cultura rurale veneta, ma anche vecchie pialle e altri vecchi oggetti trovati nei mercatini che parlano di mani antiche. La mia idea è di ritrovare la vita pulsante dentro a questi frammenti, uno sforzo che si può fare solo se si è capaci di inginocchiarsi, con una prossimità molto cristiana, una disponibilità a cogliere il battito che esiste ancora nei detriti messi al margine del modello oggi dominante. Dire che “Dio è nei frammenti” significa da una parte esprimere il desiderio di tornare a parlare della dimensione sacrale e spirituale per riportarla a risuonare nel mondo dell’arte contemporanea, dall’altra è un appello, un monito per andare ad ascoltare una voce che può indicare un cammino di salvezza. Scoprire le cose marginalizzate significa poterle usare per costruire un nuovo mondo, un nuovo universo e un nuovo cammino».

Nella poetica di Zanin è importante il concetto di archetipo, qualcosa di preesistente alla cultura attuale, una sorta di motore immobile che continua a liberare la sua energia: «Noi siamo costantemente dominati dalle sovrastrutture definite, mentre dovremmo essere capaci di leggere le matrici universali che stanno dietro alla forma, andare a pescare nel profondo, alle radici».

Alcune composizioni di frammenti in mostra fanno esplicito riferimento a Giorgio Morandi e alla sua metafisica. «La sua dimensione atemporale viene da me associata a composizioni di oggetti che invece rivelano una dimensione patologica del tempo, quale si manifesta nelle frenetiche demolizioni brasiliane».

Il richiamo all’ancestralità ricompare nel dittico Maggese che ripercorre la forma della luce quando entra dalla finestra e transita sulla terra, richiamo alla stagionalità dei ritmi contadini, ma anche ai templi solari andini, ed è un richiamo alla dinamica della memoria che a un certo punto sprofonda e sembra scomparire, ma poi riappare come nuova sostanza per nutrire il presente. È la terra del maggese lasciata a riposo per dare frutti futuri. Zanin, con altri, ha fondato Humus interdisciplinary residence, una residenza per artisti, attori di altre discipline, per stimolare riletture delle identità locali delle periferie rurali del Veneto.

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