Il debito pubblico è in calo, e l’Italia respira

Il finale di legislatura lascia trasparire qualche timido segnale di ottimismo, grazie ai dati macroeconomici e dell’occupazione. La “buona condotta” dovrebbe lasciare in dote meno tensioni con l’Europa e più spazi di manovra nella gestione dei conti pubblici.

Il debito pubblico è in calo, e l’Italia respira

Il finale di legislatura, a differenza di ciò che avvenne cinque anni fa, almeno sul versante dell’economia lascia trasparire qualche timido segnale di ottimismo.
La nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def), approvata a fine settembre dal Consiglio dei ministri, ha infatti riformulato le previsioni di aprile stimando per il 2017 (e per il biennio 2018-19) una crescita del prodotto interno lordo all’1,5 per cento. Nel testo approvato in primavera veniva invece preventivata una crescita annuale dell’1,1 per cento.
«I dati di finanza pubblica mostrano un deficit in calo graduale verso lo zero (virtualmente raggiunto nel 2020) e un debito pubblico il cui aumento in rapporto al Pil mostra segni di attenuazione e di una futura inversione di tendenza. È dal 2011 che i governi italiani promettono di azzerare il deficit e di far scendere il debito in futuro. Il metodo Padoan è stato quello di avvicinarsi poco alla volta agli obiettivi, senza l’adozione delle misure shock cui fu obbligato il governo Monti sotto la pressione dello spread a 450 punti e in assenza dell’ombrello del Quantitative easing», afferma l’economista Francesco Daveri, nella sua analisi sul sito lavoce.info 

Di fatto il quadro della finanza pubblica fotografato a metà 2017 “rincuora” su entrambi i dossier più scottanti dell’economia italiana
Da un lato una crescita più consistente delle proiezioni di crescita (ancora molto legata all’export e marginale rispetto alla domanda interna), dall’altro la tendenza di un possibile percorso di debito pubblico in calo a partire già da quest’anno.
La parte “politica”, ossia l’ottimismo, ha questa volta il certificato di Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia attentissimo a non lasciarsi prendere la mano dall’entusiasmo governativo, anche perché in viale XX Settembre il rapporto con la Commissione europea è improntato alla massima trasparenza: «Qualcuno potrà dire che è una previsione troppo ottimistica, ma credo che sia pienamente giustificata dalle politiche che metteremo in atto. Un discreto grado di ottimismo è giustificato». 

Come detto, il risultato davvero sorprendente è l’inversione del debito pubblico
Dal 132 per cento sul Pil stimato dall’Istat per il 2016 si passerà al 131,6 per cento nel 2017 (al 129,9 per cento nel 2018).

La nota dolente dell’ultima radiografia della finanza pubblica italiana riguarda invece il deficit
Rispetto allo schema approvato ad aprile è dato in aumento, e per il prossimo anno viene portato all’1,6 per cento dall’1,2 per cento previsto.

Soddisfatto anche il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che “gioca lungo” e sposta il campo dei meriti anche al raggio d’azione del suo predecessore: «I risultati economici, che sono stati resi possibili dalle riforme varate dal governo Renzi, e che noi abbiamo proseguito, ci hanno consentito una discussione con l’Ue che ha portato margini favorevoli di finanza pubblica e che ci porterà a proporre al Parlamento una legge di bilancio non depressiva».

Stando ai numeri del Mef è plausibile pensare che le clausole di salvaguardia su iva e accise saranno archiviate: grazie alla “buona condotta” il prossimo esecutivo potrà contare su spazi di deficit pari a circa 10 miliardi di euro.

Moderatamente positivi anche gli ultimi dati sull’occupazione: per la prima volta dal 2008 il numero totale degli occupati ha superato “quota 23 milioni”.
Rispetto a luglio 2016, il numero di occupati è salito di 294 mila unità, e nello stesso range temporale sono diminuiti sia i disoccupati (meno 0,6 per cento) sia gli inattivi (meno 2,4 per cento).

I dati macroeconomici del paese mostrano insomma una ripresa ormai in atto, con tuttavia la grande incognita della parallela ripartenza dell’occupazione, e pertanto possiamo avvicinarci alle elezioni della prossima primavera temendo un po’ meno del solito gli artigli dei mercati internazionali sul nostro debito sovrano.

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