L'Italia? Non è un Paese per giovani

Giovani italiani poveri e senza prospettive. Ecco il drammatico quadro dipinto da Tito Boeri, presidente dell’Inps, al convegno Openfield-Fisp “Di generazione in generazione. Costruire la città futura” tenutosi a Padova. Oltre alla denuncia di un divario crescente tra "vecchi" e "nuovi" lavoratori, un appello accorato: serve più attenzione ai giovani, perché «un Paese che investe sui pensionati non ha futuro».

L'Italia? Non è un Paese per giovani

L’Italia non è un paese per giovani e se si vuole davvero un futuro, occorre cambiare velocemente direzione di marcia.
In estrema sintesi è questo il senso dell’intervento di Tito Boeri, presidente dell’Inps, al convegno Openfield-Fisp “Di generazione in generazione. Costruire la città futura” tenutosi a Padova.
Boeri ha articolato il suo intervento partendo dalle storie di Paolo, nato nel 1950, e di Federica, nata nel 1980, illustrando così come il contesto sociale e lavorativo sia cambiato a partire dagli anni Novanta, con l’accelerazione della recessione innescata dalla crisi degli ultimi otto anni per cui sono saltate tutte le certezze: “prima” era normale che la generazione successiva stesse meglio di quelle che l’avevano preceduta, oggi si verifica l’esatto contrario e il passaggio tra generazioni avviene in negativo.

Si conferma così che in Italia esiste una “questione giovanile” che si mostra in modo brutale: la povertà colpisce i giovani fino ai 35 anni e di fronte ad un mercato del lavoro con una forte disoccupazione e il calo dei livelli salariali, in molti scelgono di emigrare. Dal 2010 i dati mostrano che inizia la povertà e che un terzo delle persone di età compresa tra i 18 e i 35 anni, sono povere. Sarà per questo che dal 2010 sono emigrate 150 mila persone: si va all’estero, ma spessissimo il lavoro non è adeguato alle proprie capacità: a Londra il laureato fa il cameriere, tanto guadagna di più che in Italia comunque.

«Un paese che continua a investire sui pensionati ha futuro?» è la domanda posta da Boeri, che ha spiegato come sia necessario «immettere risorse sul lavoro, concentrare l’attenzione sul mercato del lavoro, impegnarsi sulla transizione tra scuola e ingresso nel mondo del lavoro se vogliamo disegnare futuro. Non possiamo perdere capitale umano, dobbiamo puntare su chi ha capacità innovativa ricordando che la creatività si esprime soprattutto tra i 25 e i 35 anni. Se la nostra economia offrisse opportunità ai giovani sarebbe un grande impulso per lo sviluppo. Invece, perdiamo inventiva e creatività, elementi essenziali, quindi bisogna fare attenzione a togliere le risorse destinate a chi deve entrare nel mondo del lavoro».

Altro elemento negativo rilevato dal presidente Boeri è il calo delle immatricolazioni.
Siamo il paese europeo con il minor numero di laureati ed è necessario cambiare rotta: «Si può pensare a un apprendistato universitario alla tedesca con la formazione sia in università che sul posto di lavoro prevedendo un controllo reciproco. Abbiamo molte sedi universitarie: usiamole per i trienni professionalizzanti».
E per quanto riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro dovremmo pensare «un contratto a tempo indeterminato a tutele progressive: garantisce flessibilità alle aziende in entrata e un percorso di lungo periodo ai lavoratori. Un beneficio per entrambi: quale dipendente investe nel lavoro sapendo che se ne dovrà andare dopo poco? E non è più conveniente per un’azienda favorire le occasioni di trasmissione di conoscenze tra generazioni di lavoratori? Dobbiamo puntare sulla crescita dell’economia e sui giovani perché se non c’è crescita non regge il sistema, ci sono pensioni più basse ed è impossibile finanziare un’assistenza sanitaria di qualità. Non solo, la mobilità dei giovani valorizza il patrimonio immobiliare».

C’è inoltre un problema di “giustizia salariale”, spiega Boeri: «Le aziende innovative in Italia trovano ricercatori bravissimi a pochi soldi: 30 mila euro l’anno, mentre negli Usa costano 5 volte di più. Non va bene. Occorre trovare più fondi per la ricerca da dare ai giovani ricercatori che, grazie alle abilità e alla creatività, potrebbero creare nuove aziende e dare un notevole impulso all’economia”.

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