A 500 anni dalla Riforma, siamo tutti chiamati all’unità

Il ricordo dei 500 anni della Riforma ha vissuto a Trento uno dei suoi momenti più forti, con la reciproca lavanda dei piedi. Il passato di ogni chiesa e di ogni uomo è carico di memoria positiva e negativa allo stesso tempo: se il negativo va riconosciuto e affidato alla misericordia di Dio, il positivo va sostenuto e consegnato alla memoria futura, come incoraggiamento e forza per il cammino che verrà.

A 500 anni dalla Riforma, siamo tutti chiamati all’unità

Luterani e cattolici non hanno cominciato ieri a percorrere passi significativi di cammino comune.
E del resto, nessuna chiesa cristiana oggi si sente estranea al movimento ecumenico: pur con sottolineature diverse, con aperture più o meno marcate, tutte le chiese si rendono conto che non è possibile rimanere indifferenti davanti all’appello all’unità dei cristiani.

Non perché ciò risponda a una tendenza del momento, ma perché nel corso soprattutto di questi ultimi decenni ci si è resi conto che la vocazione all’unità è parte essenziale dell’esser cristiani, e una delle applicazioni più concrete del vangelo per questo tempo è proprio l’impegno a costruire comunione.

È con questa consapevolezza di fondo che la Chiesa evangelica luterana in Italia e la Conferenza episcopale italiana, espressa dal suo ufficio per l’ecumenismo e il dialogo, si sono incontrate a Trento per una due giorni di studio dal titolo eloquente: “Che cosa può e deve rimanere di Martin Lutero?”.
L’occasione, come è facile intuire, è stata data dal quinto centenario della Riforma del XVI secolo, che sta arrivando alle sue battute finali.
E infatti proprio questo si è voluto fare: concludere in modo ufficiale l’anniversario, non però per archiviarlo, quanto piuttosto per gettare uno sguardo avanti e per riflettere su come ora si possa e si debba proseguire il cammino.
Proprio perché questo cammino non è iniziato ieri: ha una storia e dei gesti significativi alle spalle, che incoraggiano e in un certo senso impegnano a proseguire, a camminare ancora, e a farlo assolutamente insieme.

Le riflessioni teologiche di questi due giorni sono state affidate a due relatori sicuramente esperti: don Angelo Maffeis, che oltre ad altri incarichi fa parte della Commissione mista luterano-cattolica, e il vescovo luterano Karl-Hinrich Manzke, che a nome della Chiesa luterana tedesca cura i rapporti con i cattolici della Germania. 

Entrambi hanno sottolineato come le istanze più profonde di Lutero continuino a interrogare chiunque desideri seguire il Signore più da vicino e con maggior coerenza; perché Lutero altro non ha cercato se non di prendere in mano il vangelo e viverlo con la maggiore intensità e autenticità possibile.

Brunetto Salvarani, della Facoltà teologica dell’Emilia Romagna, e il pastore Heiner Bludau, decano dei luterani in Italia, si sono chiesti che cosa significhi guarire la memoria.
Il passato di ogni chiesa e di ogni uomo è carico di memoria positiva e negativa allo stesso tempo: se il negativo va riconosciuto e affidato alla misericordia di Dio, il positivo va sostenuto e consegnato alla memoria futura, come incoraggiamento e forza per il cammino che verrà.

Proprio su come rendere concreto il cammino che verrà si sono confrontati i partecipanti al convegno, condividendo esperienze in atto e proposte fattibili, che desideriamo poi consegnare alle nostre chiese perché ne prendano coscienza.
I

l momento decisamente più solenne e carico di intensità è stata la preghiera in cattedrale.
Lo splendido spazio sacro tardo romanico, testimone dei decreti di quel concilio che proprio a Trento nel XVI secolo ha preso fermamente le distanze dal mondo luterano, si è trasformato nello scrigno di un dono prezioso: la lavanda dei piedi reciproca e comune delle chiese sorelle.
Il vescovo di Trento, Lauro Tisi, e il vescovo luterano, Karl-Hinrich Manzke, hanno ripetuto l’uno per l’altro il gesto inequivocabile del Signore, lavando poi insieme i piedi a una luterana e a un cattolico. Tutti rappresentati quindi, sia nell’atto di lavare i piedi, come nell’atto di lasciarsi lavare i piedi dal fratello. 

Un gesto che parla, che sprona, che provoca; un gesto che può far male anche, nel momento in cui si diventa consapevoli di averlo messo da parte. Un gesto che impegna e su cui non si può scherzare, un gesto che diventa la cifra dell’appartenenza non tanto ad una chiesa, quanto al vangelo, o più ancora al Signore stesso. Infatti: «Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri» (Gv 13,14). Nessuna alternativa, dunque!

Cristiano Bettega,
direttore ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei

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Fonte: Sir