Addio ad Antonio Papisca, l'uomo dei diritti e della pace

Venerdì mattina in Duomo i funerali di Antonio Papisca. I diritti umani, la pace, il magistero. Punti di riferimento di una vita spesa avendo sempre il cuore rivolto all’insù, ai grandi ideali, ma le gambe ben piantate nella terra, per costruirla davvero, passo dopo passo, per quanto possibile, quella pace che tutti attendiamo e che tutti siamo chiamati a costruire scommettendo sull'unica arma su cui valga la pena investire: l'educazione della coscienza. 

Addio ad Antonio Papisca, l'uomo dei diritti e della pace

Dicembre 1990. Uno dei primi programmi della neonata Telechiara prende forma nello studio di Antonio Papisca.
Ogni giorno, cinque minuti per presentare un articolo della dichiarazione universale dei diritti umani.
Io ero un giornalista in erba, lui era già un punto di riferimento per quanti si interrogavano sul futuro del mondo a un tornante cruciale della storia: il Muro di Berlino era caduto da un anno, appena due mesi prima c’era stata la riunificazione tedesca ma l'Unione sovietica sarebbe durata ancora un anno e con lei il Patto di Varsavia.
In quel frangente tumultuoso, credo che il contributo più prezioso di Papisca sia stata la capacità di offrire una cultura e una cornice giuridica di riferimento a un mondo pacifista chiamato ad affrontare la nuova sfida di un pianeta multipolare, globalizzato, a cui le vecchie istituzioni internazionali stavano ormai strette.

Quando nel 1992 scoppia la prima guerra del Golfo, tutto si condensa in quel famoso "Appello per la pace e la democratizzazione dell'ONU" promosso dall'Associazione per la pace e redatto dal Centro diritti umani di Padova che ha tra i suoi primi firmatari Norberto Bobbio e don Tonino Bello e che inizia con una frase che 25 anni dopo – purtroppo, verrebbe da dire – non ha perso nulla della sua attualità: «L’Onu che vogliamo è l’Onu dei popoli, non l’Onu degli stati sovrani armati».

Alla riforma delle Nazioni Unite Antonio Papisca ha dedicato tanto tempo e passione.
«Dobbiamo introdurre – ci spiegava lo scorso ottobre nell'ultima intervista sul nostro giornale – forme di democrazia perché oggi l’Onu è prigioniera del verticismo intergovernativo. Bisogna creare una seconda assemblea nella forma dell’assemblea parlamentare. Ne esistono già tante: Nato, Osce, in America latina, perché non anche alle Nazioni Unite?».

Ma non meno significativo è stato il suo apporto in altre direzioni.
Se oggi guardassimo ai difensori civici, ai tutori pubblici dei minori, agli uffici per le pari opportunità, alle strutture per il contrasto al razzismo, agli uffici che si occupano di cooperazione nel mondo sindacale, nel terzo settore, in tante imprese e tanti enti pubblici, quasi sicuramente ci troveremmo al lavoro almeno uno dei suoi allievi. La nostra società in 25 anni è cresciuta, in maturità e consapevolezza. E tutto questo – come amava sottolineare – è pace, quella che dobbiamo imparare a praticare fin dal più basso livello. Quella, soprattutto, che dobbiamo sforzarci di insegnare, dalla scuola materna all'università.

Ai giovani Antonio Papisca si è dedicato con speciale entusiasmo.
La foto che troverete in copertina del prossimo numero della Difesa, lo ritrae in cammino lungo i sentieri che dal Covolo di Lusiana scendono a Valle di Sopra. Ogni anno era lì, alla fiaccolata vicariale, a introdurre il cammino commentando il discorso per la Giornata mondiale per la pace del papa.

I diritti umani, la pace, il magistero. Punti di riferimento di una vita spesa avendo sempre il cuore rivolto all’insù, ai grandi ideali, ma le gambe ben piantate nella terra, per costruirla davvero, passo dopo passo, per quanto possibile, quella pace che tutti attendiamo e che tutti siamo chiamati a costruire scommettendo sull'unica arma su cui valga la pena investire: l'educazione della coscienza.

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