I primi due anni del vescovo Claudio. Ripartiamo, ancora, insieme

Il 18 ottobre 2015 il vescovo Claudio faceva il suo ingresso in diocesi. Il desiderio di comunità di cristiani vere, lo sguardo privilegiato ai poveri, la grande scommessa sui giovani, il desiderio di trasparenza nell’uso delle risorse. Il ruolo del vescovo e dei preti come aiuto al cammino di fede dei laici cristiani: sono tanti gli stimoli che hanno contrassegnato questi primi due anni e che attendono ora di maturare pienamente nella vita della diocesi.

I primi due anni del vescovo Claudio. Ripartiamo, ancora, insieme

«Vorrei che lo spirito fosse quello di trovarci tutti insieme per chiedere al Signore di ripartire. C’è un bel passo del vangelo che ci invita sulla sua parola a “gettare la rete sulla parte destra”. Ecco, è sulla parola del Signore che dobbiamo ripartire insieme, ed è questo aiuto che tutti insieme dobbiamo chiedere».

Sono le prime parole dell’intervista che apriva il numero della Difesa di domenica 18 ottobre 2015, giorno in cui il vescovo Claudio faceva il suo ingresso in diocesi.
E ancora, cogliendo qua e là, i primi auspici: che fioriscano comunità di cristiani vere, quelle che si riconoscono «dal fatto che chi ne fa parte si conosce, si vuole bene e sa porsi al servizio di tutti»; il desiderio di andare «alle parrocchie più lontane, ai luoghi della povertà e della sofferenza, ai nostri preti ammalati»; l’affermazione che abbiamo sentito poi ripetere tante volte che «il primo posto è proprio dei laici. La chiesa sono i cristiani. E come vescovo spero di aiutarli nel loro cammino».

A distanza di due anni, non è ancora tempo di stilare bilanci.
Se l’anello «assimila agli sposi», come ricordava il vescovo il giorno dell’ordinazione, chi mastica di matrimonio sa che due anni sono appena sufficienti a iniziare a conoscersi, specie se il fidanzamento è stato breve.
Ma nella catena dei giorni già si dipana un progetto, si delinea un orizzonte, si rielabora il passato per plasmare un futuro diverso.

E allora, alcuni segni sono già eloquenti e non è forse inutile riassumerli in questo secondo anniversario.
Sabato scorso all’Opera della Provvidenza centinaia di membri dei consigli parrocchiali degli affari economici, assieme a tanti altri laici e presbiteri della chiesa di Padova, si sono incontrati per la presentazione del bilancio diocesano. Un impegno che nasce già da lontano e che giunge in questa seconda edizione a piena maturità anche grazie al forte impulso ricevuto dal vescovo.

Leggere la vita di una chiesa, i suoi campi d’impegno, le sue priorità attraverso i numeri può sembrare esercizio accademico o per cultori della materia, e invece è il più esigente banco di prova: perché tutti noi sappiamo che il modo in cui gestiamo i nostri soldi dice la “verità” profonda del nostro essere, i nostri valori, il nostro stile.

Ebbene, a scorrere il bilancio – che da sabato è possibile scaricare anche dal nostro sito internet – si comprende bene cosa significhi quell’attenzione preferenziale ai poveri che ha rappresentato uno dei punti saldi di questi due anni.
Quel che i numeri, da soli, non possono esplicitare è uno stile di vicinanza e di condivisione che non può ridursi a semplice assistenzialismo né può andare disgiunto dal riferimento al vangelo. Li si devono leggere, allora, tornando con la memoria a due passaggi fondamentali che hanno scandito questo biennio: prima i Cantieri di carità e giustizia annunciati alla città in occasione della festa di sant’Antonio del 2016, come stimolo e contributo a delineare il volto di una Padova accogliente e capace di rendere i poveri protagonisti, non semplici fruitori di un sostegno; quindi la fondazione Nervo-Pasini per la gestione delle cucine economiche popolari, istituita dal vescovo lo scorso 18 giugno, nel contesto della solennità del Corpus Domini e dell’apertura di Santa Lucia all’adorazione perpetua: due segni posti per dar seguito all’impegno di carità che si riassume nel simbolo del pane, che richiama a un tempo il bisogno e nutrimento spirituale e il bisogno e nutrimento corporale.

E poi, accanto ai poveri, ci sono i giovani.
A loro, con l'intuizione del Sinodo annunciato alla Gmg di Cracovia, il vescovo ha subito guardato con la consapevolezza che sono il futuro della nostra chiesa.

Investire sui giovani è una scommessa i cui risultati avremo modo di toccare con mano nei prossimi mesi. Non è l’unica scommessa cruciale, peraltro, che ci attende.

La più delicata riguarda il volto delle nostre parrocchie, o meglio ancora di quelle «comunità di cristiani vere» che il vescovo Claudio non si stanca di incoraggiare.
Le questioni in campo le conosciamo: meno preti, uno stile di corresponsabilità dei laici da maturare, un assetto sul territorio da ridefinire.

Le risposte, quelle nessuno le ha in tasca. Bisognerà trovarle insieme, lasciarle maturare, sottoporle a verifica. Sarà la grande sfida dei prossimi anni: così grande che forse non sarà mai davvero conclusa, ma ci chiamerà ogni giorno, davvero, a “ripartire insieme”. 

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