Il papa in campo contro la minaccia nucleare

Il 10 e 11 novembre a Roma papa Francesco ha invitato alti vertici dell’Onu e della Nato, alla presenza di ben 11 premi Nobel per la pace, a un incontro dall'obiettivo chiaro e facilmente condivisibile: fermare un possibile conflitto che provocherebbe migliaia di vittime e modificherebbe gli attuali equilibri del mondo. Immaginando, al contrario, un possibile futuro di pace per un mondo liberato dall'incubo dell'atomica.

Il papa in campo contro la minaccia nucleare

Papa Francesco mediatore tra Stati Uniti e Corea del Nord?
Il portavoce vaticano, Greg Burke, lo ha escluso: «È falso parlare di mediazione. Non è una mediazione, non è neanche un summit, è un convegno di alto livello sul disarmo nucleare».

E dunque un’iniziativa culturale, non politica né diplomatica.

L’intenzione del papa nel promuovere questo convegno per il 10 e 11 novembre a Roma con la partecipazione di alti vertici dell’Onu e della Nato e alla presenza di ben 11 premi Nobel per la pace è chiara e facilmente condivisibile: fermare un possibile conflitto che provocherebbe migliaia di vittime e modificherebbe gli attuali equilibri del mondo. Se poi si pensa che l’annuncio del convegno è stato dato alla vigilia del viaggio di Trump in Asia, non vi è dubbio che il papa intenda creare un clima favorevole ad accordi bilaterali e multilaterali che scongiurino un conflitto tra Stati Uniti e Corea del Nord.

Il dipartimento della difesa degli Stati Uniti nel frattempo ha reso noto il dispiegamento nell'Oceano Pacifico di tre portaerei.
«La manovra non è rivolta contro una minaccia in particolare, ma è una dimostrazione del fatto che possiamo fare qualcosa che nessuno oltre a noi può fare», ha affermato una portavoce del Pentagono, Dana White, in conferenza stampa a Washington.
Secondo un comunicato dell'esercito si tratta delle portaerei Uss Nimitz, Uss Reagan e Uss Theodore Roosevelt, scortate ciascuno dai rispettivi gruppi di combattimento. La manovra potrebbe essere interpretata come una dichiarazione di forza nei confronti della Corea del Nord, i cui recenti test con armi nucleari hanno generato grande preoccupazione nella zone e causato condanna internazionale, che ha spinto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad approvare nuove sanzioni.

C’è anche attesa per il discorso che il papa farà: ci sia aspetta più di un semplice appello a fermare l'escalation nucleare.
«L'umanità rischia il suicidio» ha detto il papa riferendosi alla minaccia delle armi nucleari di cui ha parlato nel corso di una recente visita alla sede del dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale. In quell’occasione il papa ha anche richiamato l’attenzione – cosa peraltro che egli fa abitualmente – sul fenomeno del commercio delle armi, un mercato enorme che mantiene vivi numerosi focolai di conflitto nel mondo.

Ma è possibile pensare a un futuro senza armi?

Qualcuno dirà che è un’utopia, altri che è un’ipotesi fantapolitica.
E invece no, potrebbe diventare un progetto in cui credere e su cui scommettere se si vuole contribuire realisticamente e concretamente alla costruzione della pace.

Non abbiamo l’idea di quanto si potrebbe risparmiare e investire nello sviluppo economico, sociale e culturale dei popoli, a partire da quelli più poveri.
Qualche cifra ci può aiutare. Quasi 1.700 miliardi di dollari è la spesa militare globale diffusa dall’ultimo rapporto dell’Istituto internazionale per la ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri), che si occupa di raccogliere in maniera indipendente e rendere noti i bilanci relativi agli armamenti di tutti i paesi. A quanto, cioè, i governi del mondo investono in eserciti, armi, forze paramilitari, ministeri per la difesa e agenzie governative.
Per la verità, complice la crisi economica globale e il rientro della maggior parte delle truppe statunitensi e alleate dall’Afghanistan e dall’Iraq, le spese militari in questi ultimi anni erano diminuite, dopo un decennio abbondante di continua ascesa a partire dal 1998 e in particolare a seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Ora però la tendenza è nuovamente al rialzo.

In cima alla classifica degli investimenti militari stanno come sempre gli Stati Uniti, che occupano da soli il 36 per cento della voce di spesa.
Al secondo posto, con un incremento annuale del 7,4 per cento, viene la Cina. Al terzo, considerando il budget per la guerra in Yemen, l’Arabia Saudita (più 5,7 per cento) e al quarto – ma di fatto al primo posto se consideriamo il tasso di crescita – la Russia, con il 7,5 per cento di investimenti in più rispetto al 2014, attribuibile al suo sostegno ai separatisti ucraini e all’annessione della Crimea. A seguire, il Regno Unito, l’India, la Francia, il Giappone, la Germania, la Corea del Sud.

E l’Italia?

L’Italia è al dodicesimo posto, con una spesa militare nel 2015 di quasi 24 miliardi di dollari, peraltro in generale calo durante tutto l’ultimo decennio. Anche se, ha commentato qualcuno, potrebbe trattarsi di un valore non comprensivo dei cosiddetti fondi extra bilancio coi quali, secondo le valutazioni dei ricercatori, supereremmo ampiamente la soglia dei 25 miliardi.

Tanto basti per non sottovalutare il “rischio di suicidio” dell’umanità di cui parla il papa.
Ma anche per insistere sull’attualità non solo culturale del convegno sul disarmo nucleare voluto dal papa e organizzato dal dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale.

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