Immigrazione, c'è da cambiare sguardo

«Il Pastore Risorto si fa compagno di strada di quanti sono costretti a lasciare la propria terra a causa di conflitti armati, di attacchi terroristici, di carestie, di regimi oppressivi». Le parole di papa Francesco nel messaggio Urbi et orbi del giorno di Pasqua suonano come l’ennesimo appello a un mondo che pare aver smarrito la strada della pacifica convivenza, attanagliato da conflitti, crisi umanitarie, migrazioni. Arrivano mentre sulle coste italiane sbarcano in pochi giorni quasi 10 mila migranti, in gran parte provenienti da Bangladesh, Nigeria, Guinea. Ad accoglierli, un'Italia sempre più divisa e disorientata.

Immigrazione, c'è da cambiare sguardo

Ammettiamo pure – d’altronde così dice la legge, e a quella dobbiamo attenerci – che entrare in Italia senza un regolare permesso di soggiorno sia un reato.
Ammettiamo anche che un buon numero di persone che sbarcano sulle nostre coste non abbiano diritto all’asilo politico o alla protezione internazionale, e perfino che vi sia tra loro un certo numero di approfittatori, di avventurieri e di criminali che è bene trovare il modo di rimandare ai paesi d’origine.
Ammesso tutto l’ammissibile, così da spuntare le armi della facile demagogia, rimane un dato di fatto: lo scorso anno 180 mila esseri umani sono sbarcati in Italia, e chissà quanti altri vi sono arrivati via terra o magari in aereo. Visto come è messo il mondo, tra guerre ufficiali e non ufficiali, dittature, terrorismo, persecuzioni religiose, carestie e cataclismi, quante decine di migliaia avrebbero diritto – lo dice la convenzione di Ginevra che l’Italia ha ratificato, e a quella dobbiamo (o dovremmo...) attenerci – a rimanere legalmente nel nostro paese?

Altri numeri, per capire.
Dall’inizio dell’anno al 12 aprile scorso abbiamo già sfiorato i 27 mila sbarchi, a cui aggiungere i 10 mila dei giorni di Pasqua.
Oggi in Italia abbiamo oltre 175 mila persone in carico al sistema di accoglienza, già saturo anche perché il piano concordato con l’Anci per la distribuzione diffusa tra tutti gli 8 mila comuni italiani non decolla: se ognuno facesse la sua parte, sarebbero appena 22 per comune, così invece le grandi concentrazioni sono tante bombe sociali innescate che alimentano ulteriori polemiche e ostilità.
Il Def approvato dal governo stima una spesa di 4,6 miliardi di euro per il soccorso e l’accoglienza: una cifra enorme, ma che solo in minima parte finisce nelle tasche dei richiedenti asilo.

E se è vero che il 60 per cento delle richieste d’asilo vengono respinte, non va dimenticato che una alternativa legale per entrare in Italia non c’è, se si escludono i 30 mila posti previsti nel decreto flussi per il 2017, 13 mila dei quali destinati a chi è già in Italia e gli altri a lavoratori stagionali provenienti da solo 28 paesi che hanno siglato accordi con l’Italia. Per tutti gli altri, “provarci” è l’unica strada rimasta.

Se partiamo dai numeri, è perché sono il migliore antidoto all’ideologia quando vengono letti in maniera oggettiva.
E messi tutti insieme questi numeri dicono che stiamo cercando di svuotare il mare con un secchiello, aggrappandoci a slogan consolatori e a scelte pericolose, che in nome dell’emergenza calpestano principi che ritenevamo assodati per sempre e per tutti.

L’ultima, in ordine di tempo, è quella contenuta nel decreto Minniti-Orlando approvato dal parlamento prima di Pasqua, che ha cancellato il secondo grado di giudizio – vale a dire l’appello – per quanti si vedono negato il diritto di asilo una volta giunti in Italia.
Lasciamo da parte l’ordinamento penale, che mai si sognerebbe di cancellare l’appello per chi è accusato di mafia, omicidio, pedofilia. Ciascuno di noi, oggi, se riceve una semplice multa per divieto di sosta o eccesso di velocità, può fare ricorso per due volte dopo la prima sentenza.

Possibile che per una questione ben più delicata, che tocca i diritti fondamentali dell’individuo, il nostro parlamento abbia deciso che fare appello non sia più un diritto? Ed è possibile che questo avvenga, per di più, dopo che il giudice è libero di emettere la sua sentenza senza nemmeno ascoltare il richiedente asilo, se non lo ritiene opportuno, basandosi solo sui documenti che è in grado di presentare al tribunale? Ma quanti sbarcano in Italia con il passaporto da presentare in aula?

Eppure così d’ora in poi andranno le cose in Italia. Con quale risultato?
Che migliaia di persone “scompariranno”, non perché espulse dal paese – lo scorso anno, a fronte di 38 mila decreti di espulsione, ne sono stati eseguiti 5.800 – ma perché inghiottite dalla clandestinità. Senza diritti, e senza nulla da perdere.
Lo ricordava nei giorni scorsi il segretario generale della Cei mons. Galantino, chiedendo al governo, a fronte di altri 40 mila dinieghi attesi nei prossimi mesi, un permesso di soggiorno umanitario.
Lo hanno ribadito proprio prima di Pasqua le tante associazioni e realtà del nostro paese che si sono fatte promotrici di una proposta di legge d’iniziativa popolare che punta a sostituire la Bossi-Fini con una nuova normativa.

Le buone leggi, aiutano la società. Ma per cambiare legge bisogna prima cambiare cultura, mentalità, sguardo.
Questo è il problema, questo è lo sforzo da fare. «Per i richiedenti asilo – ricordava ancora mons. Galantino – non siamo di fronte a un’ invasione ma a una grande sofferenza del mondo». E alla sofferenza, un paese civile dovrebbe saper rispondere allargando le braccia. Non restringendo i diritti.

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