Legge elettorale, questione morale

La discussione in parlamento sulla nuova legge elettorale deve ancora iniziare ma già si annuncia in salita. Bisogna essere chiari: chiamarsi fuori o fingere di non sapere che in gioco non c’è il governo, ma la stessa democrazia, è da irresponsabili. La legge elettorale è una premessa, non il toccasana. I populisti che da questo stato di cose hanno solo da guadagnare sono convinti che alle prossime elezioni tutto si risolverà per il meglio. Non è così.

Legge elettorale, questione morale

Le invettive a non finire dei partiti di opposizione contro il governo non si contano più, sono ormai all’ordine del giorno.
Certo di fronte a un partito di maggioranza che dopo il referendum del 4 dicembre non è stato in grado di costruire un minimo di consenso per una legge elettorale condivisa viene da pensare quanto sia difficile per l’Italia muoversi su binari politici normali.
Come sperare di uscire da questa situazione di incomunicabilità, se non di cattiveria politica, se si prescinde da un orizzonte morale che rimetta al centro non l’interesse elettorale di questo o quel partito, ma il bene dei cittadini, di tutti i cittadini, e dunque del paese, dell’Italia?

La questione, come si vede, è morale, prima che politica, e rimanda a problemi che chiamano in causa tutti. Chiamarsi fuori o fingere di non sapere che in gioco non c’è il governo, ma la stessa democrazia, è da irresponsabili. La legge elettorale è una premessa, non il toccasana. I populisti che da questo stato di cose hanno solo da guadagnare sono convinti che alle prossime elezioni tutto si risolverà per il meglio. Non è così.

I sondaggi ci dicono che molto probabilmente dalle prossime elezioni non uscirà una maggioranza di governo solida e coesa, per cui tutto diventerà più difficile e complicato. È bene dirlo ora e ad alta voce prima che sia troppo tardi.

L’idea che con le elezioni tutto si risolva, diventi più facile, è pura illusione.
La verità è che l’Italia ha urgente bisogno di governabilità, di un governo che governi, e fintanto che non si vede questo appellarsi genericamente al popolo è solo testimonianza o pretattica elettorale.
Tanto meno serve inveire contro tutto e tutti o accreditare il sogno di una democrazia diretta, non rappresentativa, che presume di fare a meno dei partiti.

Il punto da tener ben fermo è che i partiti, per quanto screditati, rimangono l’unico elemento di razionalità, di confronto, se non si vuole ridurre la politica a puro scontro per il potere, fosse pure in nome del popolo. Solo i partiti possono realizzare quel collegamento tra interessi parziali e prospettive generali da cui dipende la capacità di governo. Solo essi possono costruire il consenso per le difficili scelte che ci attendono, mediando se è possibile, facendo valere il principio di maggioranza se necessario.

Il fatto è che i partiti, purtroppo, sono diventati un coacervo di interessi tenuto insieme dalla forza dell’inerzia.
Andando avanti così non è difficile prevedere che diventeranno gli artefici della loro stessa rovina. In passato l’elettorato era abituato a scelte semplici: libertà contro dittatura, lavoro contro disoccupazione, salario contro povertà e miseria.

Oggi i cittadini sono cambiati, sono più esigenti, più consapevoli dei loro diritti, più allergici a soprusi, imbrogli, corruzioni varie, e anche più arrabbiati. Questo ovviamente fa il gioco dei populisti, ma mette a repentaglio il futuro dell’Italia. Anche perché la rabbia è sempre stata una cattiva consigliera. Senza dover ricordare che furono i cittadini a portare Hitler al potere le sorprese sgradevoli non mancheranno.

Si tratta di vedere se nei partiti si troverà chi comprenda i segnali che arrivano e abbia il coraggio di prendere in mano la bandiera dei programmi, delle riforme coraggiose. Tanto più necessarie e impellenti dopo che il referendum del dicembre scorso le ha affossate insieme a una legge elettorale successivamente dichiarata incostituzionale dalla Consulta.

A questo punto solo una presenza vigorosa della cultura, della stampa e – perché no? – anche di una chiesa rimasta a tutt’oggi fin troppo silenziosa sui destini dell’Italia può essere un fattore determinante. Ci sono state delle responsabilità e anche una dose di presunzione nel pensare che la fine dell’unità politica dei cattolici avrebbe immesso nel tessuto dei partiti nuova linfa, nuovo slancio.

In una società che ha un gran bisogno di ideali, ma anche di passione politica, di razionalità, di competenza, si aprono nuovi spazi di riflessione e di partecipazione a quanti, cattolici o no, sono preoccupati per le sorti di un paese che potrebbe finire nelle spire dell’ingovernabilità, se non di una deriva nazionalistica e antieuropea, che ovviamente nessuno si augura, ma è pur sempre possibile.

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