Afghanistan, un paese fuori controllo

Mai così tante vittime civili in Afghanistan, dove nel primo semestre 2017 l’Onu ha registrato 1.662 morti e 3.851 feriti. Ad aumentare la conflittualità, l'arrivo dell'Isis. L'Occidente punta a un ulteriore aumento delle truppe, una scelta fortemente criticata dal mondo pacifista e giudicata inutile dagli stessi analisti ed esperti di strategie militari.

Afghanistan, un paese fuori controllo

Mai così tante vittime civili in Afghanistan, dove nel primo semestre 2017 l’Onu ha registrato 1.662 morti e 3.851 feriti.
Esplosioni, attentati, mine e ordigni artigianali hanno colpito la popolazione soprattutto a Kabul, precisa la Missione di assistenza dell’Onu in Afghanistan (Manua) nel suo rapporto semestrale. Le vittime civili sono in aumento in 15 su 34 province del paese: segno che il conflitto si estende, con una nuova ondata di attacchi perpetrati dagli insorti.
Secondo il rapporto, le vittime donne dall’inizio dell’anno a fine giugno sono state 174, ovvero il 23 per cento in più rispetto al periodo precedente, mentre i bambini che hanno perso la vita sono il 9 per cento in più, 436. Molte morti sono dovute all’attacco suicida del camion esploso a Kabul nel quartiere delle ambasciate, il 31 maggio: il più grave dal 2001 secondo il presidente Ashraf Ghani.
Sono in aumento anche le vittime, in particolare donne e bambini, di mine antiuomo e raid aerei contro ribelli, talebani e il cosiddetto Stato islamico.
La Manua attribuisce la maggior parte del bilancio di vittime alle forze anti-governative, e stima che siano responsabili di un numero sempre maggiore di morti e feriti (il 12 per cento in più rispetto all’ultimo semestre del 2016).

Secondo i dati della Manua, dal gennaio 2009 sono state 26.500 le vittime civili del conflitto afghano, più di 49 mila i feriti.
Drammatica la situazione dei bambini: sempre secondo un recente rapporto di Unama, nel 2016 i bambini uccisi sono stati 923. L’aumento dei bambini uccisi rispetto all’anno precedente sarebbe stato del 25 per cento.

Sul piano militare «l’Afghanistan è ormai una guerra persa», secondo il parere riportato dall’agenzia Dire di Claudio Bertolotti, dal 2005 al 2008 capo sezione di contro-intelligence e sicurezza della Nato in Afghanistan, oggi analista strategico di Itstime (Italian team for security, terroristic issues & managing emergencies). Intervistato da Lookout news all’indomani dell’esplosione del camion bomba che il 31 maggio scorso a Kabul aveva causato più di 150 morti, Bertolotti ha sottolineato che «l’Isis negli ultimi mesi ha compiuto attacchi spettacolari con l’obiettivo di reclutare un numero sempre maggiore di nuove leve. Lo Stato islamico ha finora manifestato una forte capacità operativa, che però va ben al di là della sua effettiva capacità di mobilitare le masse».
I talebani invece, sempre secondo l’analista, godrebbero dell’appoggio dell’Iran, paese che avrebbe «utilizzato l’alleanza per mantenere in Afghanistan un livello di conflittualità latente e tenere impegnati gli Stati Uniti in un conflitto lungo e logorante, impedendogli di investire tempo e risorse contro l’Iran».
L’arrivo dei jihadisti neri nel contesto afghano, se da un lato complica ancora di più le cose, dall’altro avrebbe avuto l’effetto di «portare la maggior parte degli attori afghani, tra cui i Talebani, a “coalizzarsi” contro un nemico comune che viene considerato esterno», ha spiegato ancora l’esperto di Itstime. Secondo cui incrementare contingenti militari – come sta valutando un’incerta amministrazione Trump – non è la soluzione all’instabilità del paese, ma anzi provocherebbe solo «un aumento di perdite umane e di costi economici».

La posizione di Bertolotti è condivisa dalla Tavola della pace, coordinamento di associazioni, enti locali e movimenti

«Crediamo – ha dichiarato di recente l’organizzazione – che non serva un aumento di truppe in Afghanistan, ma semmai una politica più attiva nella cooperazione civile, la cui spesa è attualmente ben al di sotto della spesa militare, e un impegno serio per un negoziato di pace».

L’Italia è presente in Afghanistan con oltre mille soldati impiegati nella missione Resolute Support, dove forma il secondo contingente più numeroso dopo quello degli Stati Uniti, attualmente composto da 8.500 militari ma in predicato di aumentare fino a 13 mila uomini.

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