Ankara, la democrazia è sospesa

Neofascismo sunnita: forse, è così che si può sintetizzare il regime di Tayyip Erdoğan. Il “presidenzialismo islamista” combacia ormai con lo stato d’emergenza che annulla ogni diritto. E la Turchia più che un ponte fra Europa e Medio Oriente diventa il “clone” di regimi personali come quelli di Vladimir Putin o Bashar Hafiz al-Asad.
Oggi la Turchia è uno “stato di guerra” a diritti umani, libertà fondamentali e libera informazione. Erdogan licenzia magistrati e perseguita avvocati, zittisce quotidiani e spegne tv, militarizza le città e dilata il coprifuoco perfino sulla costituzione. Ma Ankara sembra non far notizia...

Ankara, la democrazia è sospesa

Neofascismo sunnita: forse, è così che si può sintetizzare il regime di Tayyip Erdoğan.
Il “presidenzialismo islamista” combacia ormai con lo stato d’emergenza che annulla ogni diritto. E la Turchia più che un ponte fra Europa e Medio Oriente diventa il “clone” di regimi personali come quelli di Vladimir Putin o Bashar Hafiz al-Asad.
Prima del fallito golpe il deputato Aykan Erdemir definiva così la Turchia: «Il governo include le masse e contemporaneamente esclude le opposizioni; si fonda su valori etici ma anche sul più cinico pragmatismo; si batte per il consolidamento e, allo stesso tempo, per la frammentazione della società. Il prodotto è un nuovo modello culturale che possiamo chiamare Erdoganismo».

Oggi la Turchia è uno “stato di guerra” a diritti umani, libertà fondamentali e libera informazione.
Erdogan licenzia magistrati e perseguita avvocati, zittisce quotidiani e spegne tv, militarizza le città e dilata il coprifuoco perfino sulla costituzione. Ma Ankara sembra non far notizia. Eppure, su 348 giornalisti detenuti nel mondo ben 191 lo sono in Turchia. E al numero vanno aggiunti altri 92 ricercati e 839 sottoposti ad indagine.

Lo scorso 13 gennaio l’avvocato Barbara Spinelli di Bologna è stata fermata, rinchiusa in una cella di sicurezza ed espulsa come persona non gradita.
Avrebbe dovuto partecipare al summit internazionale “Il sistema giudiziario sotto lo stato d’emergenza” ad Ankara. «Dal 2014 abbiamo visto con i nostri occhi di osservatori internazionali l’utilizzo perverso del diritto penale e lo svuotamento della democrazia in Turchia.
E dall’imminente referendum sulla “riforma” costituzionale rischia di uscirne con un depotenziamento degli organi statali e con la concentrazione dei poteri di nomina e controllo solo nelle mani del presidente» ha evidenziato Spinelli al recente convegno organizzato dai Giuristi democratici e da Articolo 21 a Padova su “La tutela dei diritti nello stato d'emergenza: il caso Turchia. Diritto di difesa e libertà di informazione”.

Lo scenario è davvero inquietante, perché la sospensione delle garanzie democratiche ha già consentito stragi, arresti e persecuzioni.

Ma non basta. A chiunque sia “sospetto” viene ritirato il passaporto con il congelamento dei beni, mentre si studia la reintroduzione della pena di morte che potrebbe addirittura diventare retroattiva. «Alcuni accademici – racconta Serife Ceren Uysal, avvocata del foro di Istanbul – sono stati arrestati soltanto per aver sottoscritto un appello a favore della libertà di espressione».

E il simbolo della parabola turca è ancora Abdullah Ocalan, il leader del Pkk curdo.
Dal 1999 è rinchiuso nell’isola-prigione di Imrali. Da allora non ha più potuto vedere nessuno dei suoi familiari, mentre lo staff legale non è riuscito a fargli leggere nemmeno una delle 17 mila pagine processuali.
Il “caso Ocalan” è stato oggetto della sentenza con cui il 18 marzo 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato la Turchia per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (che sancisce che nessuno può essere sottoposto a tortura o trattamenti degradanti).

«Dopo il tentato golpe a tutti i detenuti turchi viene applicato il “metodo Ocalan” e l’intera Turchia è diventata Imrali – denuncia Mahmut Sakar, difensore di Ocalan costretto a riparare in Germania – Non lo incontro dal 27 luglio 2011. Nel 2014, era stata inoltrata alle autorità competenti la richiesta di due colloqui legali a settimana. Ebbene, tutte negate perfino con la perfidia di motivazioni pretestuose: 9 per brutto tempo, 86 per guasti alle navi di collegamento con l’isola, 6 per la manutenzione delle imbarcazioni, 3 perché giorni festivi…».

Leonardo Arnau dell’esecutivo nazionale Giuristi democratici conclude con le parole dell’European association of Lawyers for democracy and Human rights: «Oggi nessuno può sostenere che i problemi economico-politici di qualsivoglia luogo siano problemi che riguardano solo quel luogo. Sono problemi di tutti noi. E sulla Turchia non possiamo far finta di nulla».

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