Fatah e Hamas, prove di pace in Palestina

Grazie alla mediazione dell'Egitto la settimana scorsa Fatah e Hamas hanno raggiunto l'accordo sulla gestione di Gaza che diminuirà la presenza armata dei militanti di Hamas e porterà a nuove elezioni. L'accordo dovrebbe anche favorire la ripresa dei contatti diplomatici per il riconoscimento dello Stato di Palestina come membro dell'Onu.

Fatah e Hamas, prove di pace in Palestina

Finalmente uno spiraglio di luce sulla questione palestinese.
Forse è stata la tremenda previsione dell’Onu secondo cui Gaza entro il 2020 sarà inabitabile, oppure la consapevolezza diretta del disastro umano e ambientale subito, comunque sia Hamas e Fatah hanno raggiunto un accordo grazie anche alla mediazione dell’Egitto, sostenuto da numerosi paesi arabi.

Il processo di riconciliazione tra le due forze politiche palestinesi è cominciato a settembre, dopo la decisione presa da Hamas di sciogliere – su richiesta di Abu Mazen, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese – il Comitato amministrativo”, sorta di “governo ombra” formato all’inizio dell’anno.

Il portavoce di Fatah, Osama Qawasmeh, sedendo al tavolo delle trattative aveva dichiarato che queste si sarebbero focalizzate sull’estensione dei poteri del governo dell’Autorità nazionale palestinese, per «estendere lo stato di diritto a Gaza come è stato fatto in Cisgiordania».
La prima risposta positiva è arrivata dal leader di Hamas, Ismail Haniyeh, con l'annuncio di «un accordo grazie alla mediazione egiziana» successivamente confermato dal presidente palestinese Abu Mazen che ha definito l'accordo per la riconciliazione «un passaggio decisivo. Posso dire che quanto è stato concordato rappresenta davvero la fine della divisione». 

Il patto – festeggiato da migliaia di palestinesi subito dopo la firma al Cairo – prevede il dispiegamento di tremila uomini della sicurezza dell’Anp nella Striscia di Gaza e la contestuale fine delle sanzioni contro Hamas approvate la primavera scorsa.

Inoltre dal primo novembre la guardia presidenziale di Abbas, con la supervisione dell'agenzia di frontiera dell'Unione europea (Eubam), controllerà l'incrocio di Rafah, l'unico punto di accesso di Gaza con l’Egitto e, di fatto, l'unica porta d'uscita per i due milioni di residenti nella Striscia.
L'auspicio è che tanto basti quantomeno a ridurre le restrizioni imposte da Egitto e Israele, un passo urgente per aiutare Gaza a rilanciare l’economia. Entro il primo dicembre dovrà poi essere completato il passaggio amministrativo di Gaza al governo di unità. 

Un'altra importante questione interessa il destino di circa 50mila dipendenti pubblici assunti a Gaza da Hamas dal 2007, un punto che ha contribuito al fallimento degli accordi del 2014: questi dipendenti riceveranno il 50 per cento dello stipendio in attesa di verificare le loro qualifiche professionali.

Hamas e Fatah stanno anche discutendo di una possibile data per le elezioni presidenziali e legislative e delle riforma dell’Olp, l'Organizzazione per la liberazione della Palestina, responsabile delle trattative di pace con Israele. Le ultime elezioni legislative palestinesi si sono svolte nel 2006 e furono vinte, a sorpresa, proprio da Hamas scatenando la rottura politica tra Hamas e Fatah sfociata poi in una vera e proprio guerra civile a Gaza.

A rendere convincente l'accordo, secondo gli analisti, c'è il crescente isolamento di Hamas e l’incapacità di governare e ricostruire Gaza, bloccata in una situazione di guerra.
A Gaza devono tornare il prima possibile l’energia e l’acqua e questo conviene a tutti, anche a Israele. 

Ma anche per il presidente Abbas l'intesa rappresenta un passo strategico fondamentale
Riprendere il controllo di Gaza è infatti la condizione preliminare indispensabile per dar corpo a un nuovo tentativo diplomatico volto ad ottenere che lo Stato palestinese venga accolto come membro a pieno titolo dell’Onu.
Un passaggio delicatissimo, per il quale ad Abbas occorre dimostrare senza ombra alcuna di rappresentare tutto il popolo dei territori occupati nel 1967.

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