Prete padovano al Cairo: «Stamattina ci ha svegliati lo scoppio della bomba»

Il terzo anniversario della rivolta di piazza Tahrir al Cairo, che ha messo fine al regime di Hosni Mubarak, si sporca di sangue. Quattro le bombe fatte scoppiare con l'obiettivo di colpire le forze armate, sempre più vicine a riprendere il potere con il generale al Sisi. Drammatica la testimonianza di un sacerdote padovano al Cairo che si mostra poco ottimista anche dopo il recente referendum che ha approvazione a larga maggioranza la nuova costituzione.  

Prete padovano al Cairo: «Stamattina ci ha svegliati lo scoppio della bomba»

«Stamattina ci siamo svegliati con il botto della bomba. Non è stato un bel risveglio. Comunque stiamo tutti bene».
Inizia così la testimonianza di un sacerdote padovano al Cairo (che preferisce mantenere l'anonimato) in una giornata drammatica per l'Egitto. Quattro le bombe fatte saltare nei pressi dei centri di comando delle forze armate o al passaggio di agenti e soldati, 19 le vittime in totale. Gli attacchi sono stati rivendicati, via Twitter, dal gruppo jihadista Ansar Bait al Makdis che definisce infedeli i soldati e promette che la jihad proseguirà.

La prima bomba, quella che svagliato di soprassalto la comunità in cui presta il suo servizio il prete padovano, è scoppiata intorno alle 6.30 di ieri per opera, ed è la prima volta in Egitto, di un kamikaze. Letteralmente sventrata la sede del comando delle forze armate davanti a cui l'auto bomba è deflagrata.

Tutto questo testimonia che la situazione nel paese più importante del medioriente, un gigante da 80 milioni di abitanti che si trova in una posizione strategica tra il Maghreb e Israele, è tutt'altro che pacificata, nonostante l'approvazione a grande maggioranza della bossa di nuova costituzione avvenuta con il referendum che si è  tenuto il 14 e 15 gennaio scorsi.

«Noi missionari che siamo "abbastanza dentro" per capire cosa succede e "abbastanza fuori" per tentare di guardare la situazione con un certo distacco (un distacco che chi ha perso parenti a causa dell'odio integralista non si può permettere) rimaniamo molto perplessi per quello che sta succedendo», commenta il sacerdote. E guardando all'esito del referendum spiega: «Con il referendum costituzionale, si è avverato quello che in molti avevano preannunciato come una manifestazione di forza del potere costituito. Qualche blogger aveva scritto "sei libero di votare, se voti sì". Effettivamente, è vero che il 98 per cento degli elettori ha votato per la bozza costituzionale proposta dalla costituente diretta da Amr Musa (e nella quale anche il vescovo copto-cattolico di Fayoum-Giza ha contribuito). Ma è anche vero che l'affluenza è stata parecchio bassa. Un po' più alta di quella che promosse la costituzione islamista scritta dai fratelli musulmani appena tredici mesi fa, ma non alta abbastanza per poter dire che questa è la volontà del popolo. Particolarmente, ha colpito la bassissima affluenza alle urne da parte dei giovani, soprattutto alcuni settori della società civile che avevano innescato la rivoluzione di piazza Tahrir».

Guardando allo strato del paese, il sacerdote tratteggia un Egitto diviso in tre fazioni. Da una parte gli islamisti che vorrebbero tornare al potere, e portare avanti un'agenda che prevede, tra l'altro, una pericolosa messa in discussione degli accordi di pace con Israele. Dall'altra chi sostiene i militari, cioè chi comanda ora, che non teme di dire che "si stava meglio quando si stava peggio", cioè durante il lunghissimo governo di Mubarak (salito al potere da generale) e che vorrebbe tornare indietro con la scusa della stabilità per il paese. Infine, ci sono i promotori di una terza via, che si rifiutano di stare al gioco degli altri due gruppi. «Il vero dramma - riprende il missionario - non è che siamo divisi in tre gruppi, ma che questi gruppi non abbiano nessuna voglia di dialogare. Credere che un pezzo di carta come la costituzione risolva la cosa è ridicolo. Ci vuole ben altro che un testo, che tra l'altro non è così innovativo come lo descrivono quelli che l'hanno scritto». Dal prete padovano dunque nessuna apertura all'ottimismo dimostrato nei giorni scorsi da mons. Mina, vescovo copto-cattolico di Giza.

Al contrario, il sacerdote ha parole di fuoco per la chiesa locale. «Personalmente, trovo molto amaro che la gerarchia ecclesiastica sia così supina al gioco dei militari. Questo tipo di strategia – oltre che essere miope – è poco furbo sul piano strategico. Dio ci salvi dal cadere nel baratro che è la Siria, dove i cristiani hanno preso la parte di Assad».

La storia comunque è ancora lunga, conclude il missionario, «e più passano le settimane e più si allargano le fila di chi non sta ai giochetti dei primi due gruppi. Arriverà il momento di rimescolare le carte, e cominciare, forse per la prima volta, il gioco. Ma intanto che aspettiamo, continuano gli attentati dei terroristi e la pressione dei militari e a farne le spese è il popolo, che si trova in mezzo».

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