Traffico di organi, le cifre della vergogna

A Lampedusa, il “medico di frontiera” Pietro Bartolo ha visto spesso le cicatrici inequivocabili dei trapianti. Sono soprattutto i giovani migranti a vendere un rene per potersi pagare il “viaggio della speranza” verso l’Europa. Significa, insomma, che la rete criminale non solo specula grazie a barconi e gommoni, ma anche alimenta il mercato nero degli organi umani.

Traffico di organi, le cifre della vergogna

Un’agghiacciante certezza: migranti vittime della tratta di organi.
Lo conferma il presidente del Centro nazionale trapianti Alessandro Nanni Costa, che in una recente intervista pubblicata da Avvenire dettaglia:

«Abbiamo avuto un migrante che all’arrivo a Palermo si è scoperto gli era stato prelevato un rene nel deserto. È ovvio che un organo non può essere sottratto nel deserto, però è possibile che qualcuno venga portato in ospedale dove si fanno trapianti e poi reimmesso nella corrente migratoria. Un altro episodio poi a Milano, durante un controllo medico: ci si è accorti che a un migrante mancava rene. Anche questo, proveniente dal Sud Sudan, ha detto che il rene gli era stato prelevato nel deserto, non certo a propria insaputa. Quel che è certo è che non sono scelte volontarie, queste persone sono vulnerabili e subiscono forme di violenza che li inducono a questo».

A Lampedusa, il “medico di frontiera” Pietro Bartolo ha visto spesso le cicatrici inequivocabili dei trapianti.
Sono soprattutto i giovani migranti a vendere un rene per potersi pagare il “viaggio della speranza” verso l’Europa. Significa, insomma, che la rete criminale non solo specula grazie a barconi e gommoni, ma anche alimenta il mercato nero degli organi umani.

È certificato nei verbali datati 11 maggio 2015 durante l’interrogatorio di Atta Wehabrebi, scafista pentito dopo la condanna a 5 anni:

«Talvolta i migranti non hanno i soldi per pagare il viaggio che hanno effettuato via terra, né a chi rivolgersi per pagare il viaggio in mare, e allora mi è stato raccontato che vengono consegnati a egiziani, che li uccidono per prelevarne gli organi e rivenderli in Egitto per una somma di circa 15.000 dollari. In particolare, questi egiziani vengono attrezzati per espiantare l’organo e trasportarlo in borse termiche»

Più si approfondisce la questione, meno dubbi restano sull’inquietante fenomeno della “ragnatela nera”.
L’Organizzazione mondiale della sanità stima in un anno 21.000 trapianti di fegato, 66.000 trapianti di rene, 6.000 trapianti di cuore eseguiti nel mondo. E almeno il 5 per cento degli organi, di fatto, non viene tracciato negli ospedali e nei centri specializzati.
La fondazione statunitense Global financial integrity (specializzata nell’analisi dei “flussi finanziari illeciti”) contabilizza in 1,4 miliardi di dollari il mercato illegale dei trapianti. E il report dell’Unhcr e dell’International organization for migration (Oim) a Khartoum in Sudan accerta almeno 66 casi di rapimento nel primo semestre 2015: ««Gruppi criminali ben organizzati e con ramificazioni internazionali chiedono un riscatto di 14 mila dollari per chi ha la famiglia a Khartoum, 30 mila per chi ha parenti in Europa».
Sintomatica la lunga indagine (2002-09) con agenti sotto copertura nel New Jersey culminata in 44 arresti. Fra loro anche il rabbino ortodosso Levy Izhak Rosenbaum di Brooklyn, da dieci anni al centro del traffico di organi. «La sua attività – come ha dichiarato il procuratore Ralph Marra – era di invogliare persone vulnerabili a rinunciare a un rene per 10 mila dollari, che sarebbe poi stato venduto a 160 mila…».

Nello studio “Trafficking in human organs” del Parlamento europeo pubblicato il 18 giugno 2015, si citano altri clamorosi casi accertati nel primo decennio del Duemila: il traffico di organi a Gurgaon (India) con 400-1.200 dollari agli espiantati e 37-60 mila pagati da chi viene trapiantato; i 109 casi affiorati all’interno dell’azienda di assistenza ospedaliera Netcare in Sud Africa con ramificazioni fino in Israele; altri 24 casi registrati nella clinica Medicus, l’ospedale privato alla periferia di Pristina in Kosovo con trapianti di fegati, reni e cornee; infine, almeno un centinaio di espianti sospetti in Ucraina.

L’Italia, almeno legalmente, si è tutelata.
Dal 7 gennaio scorso il codice penale recepisce la legge 236 e con l’articolo 610-bis punisce (da 3 a 12 anni) «chiunque, illecitamente, commercia, vende, acquista ovvero, in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo, procura o tratta organi o parti di organi prelevati da persona vivente». La pena da 3 a 7 anni scatta poi per chi «organizza o propaganda viaggi ovvero pubblicizza o diffonde, con qualsiasi mezzo, anche per via informatica o telematica, annunci finalizzati al traffico di organi o parti di organi».
E Alessandro Nanni Costa assicura (con appena 805 italiani trapiantati all’estero negli ultimi dieci anni): «Il nostro sistema di controllo funziona benissimo, sia in entrata che in uscita». Nel resto del mondo, purtroppo, non si può dire lo stesso.

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