Trump allarga la frattura sciita-sunnita

Il presidente Usa rinnega la politica obamiana e prende posizione con i sauditi e contro gli ayatollah di Teheran, colpiti nei giorni scorsi da un duplice attentato suicida. Un elemento in più che contribuisce all'alta tensione in tutta la regione.

Trump allarga la frattura sciita-sunnita

Gli attentati terroristici a Teheran possono essere letti in continuità con i recenti sviluppi degli equilibri geopolitici nell’area del Golfo Persico.

Più volte l’Iran negli ultimi tempi è stato oggetto di tentativi di attacchi da parte di gruppi fondamentalisti legati alla galassia dello jihadismo sunnita, regolarmente sventati grazie al capillare controllo territoriale esercitato dall’imponente apparato repressivo del regime degli ayatollah.

Per quanto efficace sia, tuttavia una rete di protezione perfetta (anche in uno stato di polizia) non può esistere, a fronte di azioni imprevedibili e mirate contro un’infinità di potenziali obiettivi civili.
Così anche l’Iran si è aggiunto alla lunga scia di attentati che ripetutamente stanno colpendo varie aree del mondo, tra cui l’Europa.

Quanto accaduto a Teheran, comunque, assume contorni e significati del tutto particolari alla luce della secolare contrapposizione tra musulmani sciiti e sunniti e della recente presa di posizione politica del presidente americano Donald Trump a favore degli alleati sunniti del Golfo Persico, Arabia Saudita in primis.

La precedente amministrazione Obama aveva cercato di avviare un processo di riequilibrio della politica americana nell’area, aprendo al dialogo con l’Iran sciita, che dopo la rivoluzione khomeinista era diventato il principale nemico tanto di Washington quanto di Israele.

L’accordo sul nucleare iraniano aveva costituito il risultato più concreto della svolta di Obama.
Una svolta duramente attaccata dal governo israeliano e dai sauditi e maturata nel contesto della guerra contro lo Stato Islamico, che è la più feroce e potente organizzazione fondamentalista sunnita, attiva in Iraq e Siria, ma con diramazioni in molti altri Paesi musulmani e in grado, come si è visto, di minare la stessa sicurezza europea.

Pur di arginare l’espansione dell’influenza sciita nella regione ad opera di Iran ed Hezbollah, i sauditi e i loro alleati sunniti, direttamente o indirettamente, non hanno esitato a finanziare varie sigle jihadiste, tra cui anche lo Stato Islamico.
Da qui il forte imbarazzo e i tentennamenti dell’amministrazione Obama, che ha cercato di uscire dall’angolo ricucendo, per quanto possibile, i rapporti politici con Teheran.

Donald Trump, invece, ha etichettato nuovamente l’Iran come Stato-canaglia e ridato mano libera agli sceicchi sunniti del Golfo di perseguire i loro interessi nella regione.

La prima conseguenza è stata la rottura delle relazioni diplomatiche di Arabia Saudita, Egitto, Yemen ed Emirati Arabi Uniti nei confronti del Qatar, emirato a sua volta sunnita, ma non ostile per ragioni economiche all’Iran, e soprattutto grande finanziatore di gruppi religiosi radicali come i Fratelli Musulmani, che sono visti da molti Paesi arabi come una grave minaccia alla loro stabilità interna.
Poco dopo ci sono stati gli attacchi terroristici a Teheran, dove sono stati vissuti come l’ennesimo atto della guerra dichiarata dai sauditi contro gli sciiti.

In sostanza è evidente che il risultato della nuova linea politica di Washington ha accelerato non solo la dinamica degli atti ostili nella contrapposizione tra sciiti e sunniti, ma ha anche aperto nuove linee di frattura all’interno dello stesso mondo sunnita.
Vedremo l’evolversi della situazione, ma il presidente Trump non ha molto tempo per risolvere almeno la crisi col Qatar, che ospita la più grande base militare americana della regione, avamposto degli attacchi aerei contro le postazioni dello Stato Islamico in Iraq e Siria.

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