Alternanza scuola lavoro: opportunità che fa crescere i lavoratori di domani

È utile ripensare a istruzione e formazione con un’attenzione più forte alla cultura del lavoro, anche in termini pratici. In Italia l’alternanza va accompagnata perché cresca e si diffonda come un'opportunità per tutti: studenti, insegnanti, aziende.

Alternanza scuola lavoro: opportunità che fa crescere i lavoratori di domani

Chi ha figli che frequentano il triennio di una qualsiasi scuola superiore di sicuro ha sentito parlare dell’Asl (Alternanza scuola lavoro), obbligo sancito dalla legge 107 che impegna gli studenti liceali per 200 ore, per ben 400 per tutti gli altri. È una novità rilevante, che inciderà profondamente sulle abitudini e sui risultati della nostra scuola.

Se volessimo fare un po’ di storia potremmo pensare al “vecchio” tirocinio, che molti di noi hanno svolto per imparare un mestiere, per entrare in contatto con il mondo del lavoro, per toccare con mano le proprie predisposizioni e capacità. Si trattava però di una parentesi, spesso disgiunta dalle attività svolte in classe, quando il “programma ministeriale” dettava legge, mentre il mondo del lavoro puntava il dito contro una scuola che non sapeva stare al passo con i tempi.

Il progetto che la “Buona scuola” ha messo in campo è invece un’interessante provocazione: chiede alla scuola, soprattutto sotto l’aspetto della didattica, un approccio diverso. Meno astrattezza, più concretezza. Modelli diversi, metodi diversi. Una didattica diversa: una scuola concepita come alternarsi di lezioni frontali, studio individuale, verifica, voto, è un modello superato.

L’ Asl riconosce ad altri soggetti la funzione educativa-formativa; la scuola non è l’unica agenzia di formazione. Sono mondi che devono comunicare e collaborare. La 107 prevede che le istituzioni scolastiche organizzino dei percorsi di apprendimento anche fuori dalle aule scolastiche, all’interno di ambienti occupazionali reali, in un continuo confronto con le aziende, ma anche con altri tipi di istituzioni dove si svolgono attività lavorative.

L’alternanza, infatti, non è una forma di apprendistato, né ha finalità produttive, ma è una modalità di insegnamento e di apprendimento che serve, anzitutto, alla formazione della persona, della quale favorisce lo sviluppo delle competenze.

Si tratta di un progetto ambizioso: avvicinare due mondi che in Italia sembrano da sempre appartenere a universi paralleli. E questo anche per favorire l’occupazione dei giovani. Inutile dire che il tema del lavoro ha assunto in anni recenti il carattere di un’emergenza sociale: la crisi economica è tanto profonda da oscurare le prospettive di piena realizzazione umana e professionale delle nuove generazioni.

È quindi utile ripensare istruzione e formazione con un’attenzione più forte alla cultura del lavoro, anche in termini pratici. Molti paesi europei lo fanno già, a iniziare dalla Germania dove esiste un sistema di istruzione “duale” che funziona benissimo: gli studiosi parlano di quello tedesco come di un mercato del lavoro “occupazionale”; i lavoratori qualificati possono facilmente cambiare azienda, grazie al valore dei titoli conseguiti nel sistema duale, riconosciuto da tutte le aziende.

In Germania vengono investite ingenti risorse economiche e di capitale umano nella formazione continua, volta ad aumentare le competenze dei lavoratori e a favorire anche una rapida ricollocazione in caso di crisi aziendale. Ma in Italia siamo solo all’inizio e la partenza non è stata facile: molti insegnanti pensano che queste attività rubino tempo alla didattica e quindi alla preparazione degli studenti, le linee guida ministeriali in molti aspetti sono vaghe, i docenti non sono mai stati preparati a questa novità e, infine, nelle scuole, tutto ciò che riguarda l’Asl è spesso gestito da un piccolissimo numero di insegnanti.

Ciò che forse è mancato è un approccio graduale a questa innovazione. Forse un “pacchetto” di ore più esiguo si sarebbe potuto gestire meglio, almeno all’inizio... Inoltre, se gli istituti tecnici e quelli professionali hanno comunque una tradizione su cui appoggiarsi, per i licei è stato tutto da inventare.

Molti licei hanno optato su “sistemazioni di ripiego” prendendo d’assalto uffici comunali, biblioteche e studi professionali o mandando personalmente gli studenti a “caccia” di un posto dove poter effettuare ore di alternanza al di fuori del contesto scolastico. Va già meglio per gli studenti delle scuole professionalizzanti; in un contesto industrializzato come il nostro, le opportunità di venire accolti nelle aziende sono maggiori. Ma anche qui i problemi non mancano: le aziende debbono mettere in campo risorse di non poco conto.

È necessario incaricare un tutor aziendale che progetti assieme agli insegnanti un percorso di stage, seguire lo studente, valutare le competenze acquisite... e tutto questo senza che venga riconosciuto alcunché alle imprese impegnate nell’alternanza. Confindustria sostiene che quest’aggravio di spese avrebbe avuto senso per le aziende solo di fronte alla concessione di sgravi fiscali da parte del governo.

Ma il ministero della pubblica istruzione ha fatto i conti senza l’oste e ha emanato la 107 senza convocare le parti in causa. La verità è che oggi alcune scuole sono costrette ad accettare lavori di ripiego, per far fare esperienze lavorative ai propri studenti.

In provincia di Vicenza esiste un albo delle imprese da cui poter attingere, ma gli iscritti sono pochi a fronte dei “numeri” che le scuole devono gestire. Così molti insegnanti si ritrovano a bussare “porta a porta” nella speranza che gli studenti vengano accolti. È questione di cultura, in Italia l’alternanza è una novità, le imprese vanno accompagnate. E gli studenti? Ciò a cui dobbiamo puntare è soprattutto l’esperienza di formazione umana: lo studente si trova per un periodo in un ambiente diverso da quello di studio, immerso in relazioni inconsuete (non tanti ragazzi e un adulto, ma un ragazzo tra gli adulti), esegue compiti in un tempo preciso, deve comprendere ed eseguire consegne che vengono date con linguaggi diversi da quelli scolastici, si abitua al rispetto degli orari (basti pensare come si giustificano le assenze nel mondo del lavoro, prima e non dopo); insomma, tutto quello che ruota attorno alle cosiddette “soft skill”. E poi conoscono meglio il territorio, possono verificare “in campo” le loro capacità e le loro attitudini. Detto in altre parole, non solo fornire un “assaggio” di lavoro, ma mostrare loro quali e quante sono le professioni là fuori: opportunità in ambiti di cui spesso s’ignora l’esistenza.

Maria Gabriella Ruzzon

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