Alberto Paleari. Il portiere laureato che guarda già al futuro

Alla vigilia del ritorno di finale playoff contro il Verona, in cui il Cittadella si gioca la possibilità di entrare nella prossima Serie A, riproponiamo l'intervista ad Alberto Paleari, giovane portiere titolare dei granata, pubblicato sulla Difesa nel dicembre 2017.

Alberto Paleari. Il portiere laureato che guarda già al futuro

Nato a Seregno, passato per la Primavera del Milan, dallo scorso anno è al Cittadella dopo tante squadre di Lega Pro. Obiettivo, la serie A da raggiungere passo dopo passo. Guardando però anche fuori dal campo.

«Beh, si sa che la carriera di un calciatore dura – se va bene – un tot di anni.
Per me è importante anche il dopo, non voglio trovarmi in un momento della mia vita senza sapere che fare, per questo ho continuato con l’università. Alle superiori ho fatto il liceo scientifico tecnologico, sono uscito con 74, sempre promosso. I primi quattro anni a Carate Brianza, vicino casa; l’ultimo a Busto Arsizio. Ero col Milan, allenamenti a Milanello: non avevo la patente, mi muovevo in treno, non ce l’avrei fatta altrimenti a star dietro alla scuola. Già prima comunque non è stato facile, per anni sono andato avanti col pullmino che mi veniva a prendere all’una, un panino e via ed era dopo le otto di sera che tornavo a casa.
Già a quel tempo mi rendevo conto che i ragazzi facevano altro, credo insomma d’averlo vissuto a metà tutto quel periodo, io che a 18 anni accompagnavo i miei amici a ballare e me ne tornavo subito a casa. Come dire che non me la sono proprio goduta la compagnia con la spensieratezza dei 16 anni, pensa che non ho mai potuto fare una gita scolastica, anche quei 4-5 giorni erano troppi, sempre per via del calcio».

«Così mi sono deciso poi a iscrivermi a scienze motorie, intanto ho fatto la triennale, ho preso 104. La tesi (“Il calciatore di serie B: analisi e modelli di consumo”; n.d.r.) l’ho fatta un po’ su quello che è lo status symbol dell’essere calciatore, tramite un questionario che ho sottoposto a esattamente 288 giocatori di serie B. Chiedendo loro in sintesi quali fossero i consumi quotidiani, con altre richieste tipo la macchina che hanno o l’orologio che portano. Le conclusioni? Che in effetti l’apparire conta parecchio, quello insomma che si “vede” di più, allora sì anche i calciatori spendono di più. Per quelli che sono invece prodotti che non si… vedono, penso per dire allo shampoo o alla pasta che mangiano a casa, allora non ce n’è di differenza con le persone cosiddette normali».

«Essendo il nostro un “lavoro” tanto esposto mediaticamente, in effetti guadagniamo un po’ più degli altri. So insomma che a 25 anni ho un introito diverso dal mio amico che è lì che ancora studia, ma non posso non pensare al dopo, al fatto che anche noi calciatori in pensione ci andiamo a 67 anni…

Penso a quel mio amico che ha scelto farmacia, che ancora va avanti con le mance dei genitori: ma, alla lunga, come sarà? Chi si troverà di più? Comunque fare scienze motorie mi ha aiutato a conoscermi di più e meglio, a saperne di più, come avere davanti una macchina e sapere che è fatta di tante cose, per dire, dalle pastiglie dei freni agli ammortizzatori eccetera. È stata una preparazione davvero a 360 gradi, capendo dove si va a lavorare con questo o quell’esercizio, sul come farli, conoscendo ora quanto possa servire la stessa nutrizione per questo mio lavoro: ne so di più e ho più consapevolezza».

«Per il dopo non so, spero e voglio giocare ancora un bel po’, è bello farlo.

Il calcio per me diventa davvero lavoro (senza virgolette) e mestiere quando le cose non vanno bene, quando una partita va male e magari abbiamo perso per un mio errore, c’è la contestazione e mi ritrovo a non dormire la notte: dove sta mai così il divertimento? Comunque un qualcosa ce l’ho in testa, mi piace immaginare una struttura polifunzionale, un centro specializzato che offra soprattutto a ragazzi che vogliano investire su sé stessi, un ventaglio completo di possibilità, dalla preparazione atletica alla nutrizione e così via. Da ragazzo avevo un grande obiettivo in testa, sapevo (e so) dove voglio arrivare. “Sognare in grande, ma con i piedi per terra” ecco un po’ il mio motto. Per come la vedo io, l’arrivare in serie A – il mio obiettivo – andava fatto passo dopo passo. Dalla D alla C come ho fatto, dalla C alla B e pure qui ci sono. Nessuno mi ha regalato nulla e sono uno di quelli che non hanno mai mollato. A 20 anni ero a Kazan, in Russia, per le Universiadi e pochi giorni dopo, come faccio a dimenticarla quella data, era il 17 luglio (2013; ndr), c’è stato il fallimento della mia società (il Tritium, di Trezzo d’Adda; ndr). Avevo due anni di contratto, tutto in fumo. Potevo andare in vacanza e invece no, sono andato al ritiro dell’Assocalciatori con i senza contratto, io lì che mi chiedevo come poter svoltare nella mia vita: l’unico modo che avevo (e che ho) è quello di lavorare, ogni giorno giù a testa bassa, dando il massimo».

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