«Col divorzio breve lo stato rinuncia alla famiglia come capitale sociale"

Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari: «È come se il legislatore dicesse: fare famiglia è un “affare privato”, quindi nel bene e nel male, cari cittadini dovete arrangiarvi. Non aspettatevi niente dall’intervento pubblico».
E ancora: «Lentamente ma inesorabilmente si vanno togliendo i sostegni a una idea forte di matrimonio come valore costituzionale».

«Col divorzio breve lo stato rinuncia alla famiglia come capitale sociale"

La camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge sul cosiddetto “divorzio breve”
I sì sono stati 398, i no 28, gli astenuti 6. Rispetto alle norme in vigore precedentemente, i tempi del divorzio vengono ristretti: 12 mesi per la separazione giudiziale, 6 mesi per quella consensuale, con l’estensione delle nuove norme anche ai procedimenti in corso.
L’istituto giuridico della comunione dei beni viene sciolto quando il giudice dà il proprio consenso ai coniugi per vivere separati, oppure quando gli stessi decidono di sottoscrivere la separazione consensuale. Di fatto, con questa legge, cambia il diritto di famiglia che tutti conosciamo.
Ecco l’opinione di Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari.

Presidente, in molti oggi esultano, parlando di “conquista di civiltà”. È proprio così?
«Più che di un conquista, io parlerei di una conferma: siamo immersi in un clima culturale individualistico sempre più forte e diffuso, che investe le relazioni familiari per renderle sempre meno rilevanti. Davanti a una diminuzione così drastica dei tempi di attesa prima dell’addio definitivo, e senza aver previsto tempi e modalità di accompagnamento nei confronti dei coniugi in difficoltà, mi sembra emerga piuttosto una vera e propria sconfitta dello stato nei confronti della famiglia. È come se il legislatore dicesse: fare famiglia è un “affare privato”, quindi nel bene e nel male, cari cittadini dovete arrangiarvi. Non aspettatevi niente dall’intervento pubblico. Sono solo affari vostri».

Quindi lei sta dicendo che per lo stato il matrimonio è diventato un evento banale, quasi irrilevante?
«Questo è un argomento che come associazioni familiari avevamo introdotto nel dibattito pubblico, interpellando i parlamentari e coinvolgendo varie realtà sociali. Tutti sappiamo che sulla coesione di coppia e la tenuta della famiglia si fonda molto della stessa coesione sociale. Dicevamo di non costruire leggi che rendessero irrilevante la permanenza dei legami, per queste note ricadute pubbliche. Certamente sappiamo che il legame familiare può andare incontro a crisi. Però, che esso sia un fatto totalmente autonomo, privato, da affidare agli avvocati, ci sembra una sconfitta. Invece continuiamo a credere che la famiglia stabile rappresenti un elemento fondamentale del capitale sociale di un paese. Essa è un valore che genera “bene comune”, soprattutto per i figli e per i progetti di vita delle persone. Siamo perciò dispiaciuti che lo stato si vada allontanando da una responsabilità come questa».

Tra l’altro col “divorzio breve” cambia anche l’assetto legislativo, anche rispetto ai valori costituzionali della famiglia. Siamo davanti a una regressione giuridica?
«Direi che siamo davanti al tentativo di introdurre una radicale modifica dei criteri fondativi di regole che prima funzionavano. Lentamente ma inesorabilmente si vanno togliendo i sostegni a una idea forte di matrimonio come valore costituzionale. La tesi dei sostenitori è che più smantelliamo i legami di coppia più affermiamo il valore di libertà assoluta. In realtà, mi sembra che più che di libertà occorra parlare di abbandono alla solitudine, all’emarginazione, specie della parte più debole».

In che senso?
«Nel senso che quando una coppia va in crisi, invece di poter trovare un referente, uno “sportello” della comunità che possa con delicatezza prendersi in carico la situazione, viene abbandonata a se stessa. È il contrario di quanto dicevano gli africani che “per educare un fanciullo ci vuole un intero villaggio”. Qui il villaggio si disinteressa del tutto di quanto avviene a genitori e fanciulli. La famiglia viene considerata un fattore diverso e lontano dalla collettività. Una realtà a se».

Quali ripercussioni psicologiche, specie sui figli, possono derivare dal “divorzio breve”?
«È oggettivamente riscontrabile che la separazione dei genitori scarica sui figli un compito difficile da governare. C’è l’obiezione che vivere in un contesto di estrema conflittualità espone i figli a rischi peggiori. Ma non si può negare che la separazione sia comunque un fatto complesso, non solo per i figli ma per gli stessi coniugi. Comunque vadano le cose, rimarrà la “ferita” da gestire nel tempo. E ancora una volta lo stato afferma che in questo evento non intende assumersi alcuna responsabilità pubblica».

Quindi siamo davanti a un altro tassello verso una società sempre più frammentata e destrutturata. Dove arriveremo?
«Quello in atto è un percorso verso una società che privilegia legami sempre più leggeri. In pratica il messaggio è che è quasi impossibile la promessa di una alleanza per sempre tra l’uomo e la donna. Tale valore del resto è pesantemente indebolito dai dati statistici, che parlano di diminuzione dei matrimoni, religiosi e civili, e aumento delle convivenze e unioni di fatto. La legge intercetta questi orientamenti e li esaspera, non prevedendo nessun aiuto per “stare” nelle difficoltà e cercare di superarle. Come dicevo, è la vittoria di una cultura individualistica che afferma che quello tra uomo e donna è un legame che non interessa. C’è di che essere preoccupati per gli esiti che si possono immaginare sul lungo termine».

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Fonte: Sir