Ecco il Veneto dei sindaci senza partiti

A Belluno la sfida tra due “civici” ha messo alla porta i simboli tradizionali e dato vita a un consiglio comunale con tre soli esponenti dei partiti; a Verona il primo partito della maggioranza è la Lista civica – sindaco Sboarina. A Padova Giordani governerà con 13 consiglieri delle varie liste civiche e appena 6 del Pd, superato anche dalla civica dell’ex sindaco Bitonci. Come dire: benvenuti, signori e signore, nella nuova epoca del civismo.

Ecco il Veneto dei sindaci senza partiti

«Ormai, anche in Veneto, quando è tempo di elezioni ci muoviamo in un terreno inesplorato».
Considerazione che, a livello epidermico, molti di noi avranno fatto di fronte alle montagne russe dei risultati elettorali, ormai facili a ribaltarsi di tornata in tornata secondo (il)-logiche che rasentano  quelle della roulette.
Ma se a dirlo è Gianni Saonara – il primo parlamentare dell’Ulivo nel 1996, da anni intento a compulsare con certosina pazienza i comportamenti elettorali – e se a suffragare l’affermazione sono i dati raccolti scandagliando tutti i comuni della regione andati al voto, ecco che il discorso si fa ben più interessante. 

Siamo in un terreno vergine, inesplorato, ma che ha già un nome suadente alle orecchie di quanti hanno ormai abbandonato la “vecchia” politica.
Ha iniziato Flavio Tosi a Verona nel 2012, con una lista civica che surclassò la Lega e che, col senno di poi, fu all’origine delle sue disgrazie politiche. Lo hanno seguito Variati a Vicenza e Manildo a Treviso nel 2013, ma con un approccio più dolce e con liste capaci sì di aggiungere al tradizionale serbatoio del Pd, senza però prosciugare la casa madre. Qualcosa di simile si era visto a Padova nel 2014, su un versante e sull’altro con le liste di Bitonci e Rossi. Poi, però, tutto è cambiato con la “discesa in campo” di Brugnaro, che in un colpo solo s’è mangiato la rossa Venezia e l’intero centrodestra, conquistando 17 consiglieri comunali con la civica che porta il suo nome e lasciando le briciole ad alleati e avversari. 

Quest’anno la musica è la stessa: a Belluno la sfida tra due “civici” ha messo alla porta i simboli tradizionali e dato vita a un consiglio comunale con tre soli esponenti dei partiti; a Verona il primo partito della maggioranza è la Lista civica – sindaco Sboarina. A Padova Giordani governerà con 13 consiglieri delle varie liste civiche e appena 6 del Pd, superato anche dalla civica dell’ex sindaco Bitonci. Come dire: benvenuti, signori e signore, nella nuova epoca del civismo.

«Se ogni caso fa storia a sé, la loro somma fotografa nitidamente la situazione. Una volta le liste civiche erano la soluzione più idonea per i piccoli centri, ed era comunque quasi sempre facile determinarne l’orientamento politico guardando alle biografie dei candidati. In questo 2017, invece, per la prima volta nella storia abbiamo nei comuni capoluogo del Veneto più consiglieri espressione delle civiche di quanti non rappresentino i partiti. Per l’esattezza sono 119 contro 95, a cui aggiungere volendo 10 consiglieri dei 5 stelle che però partito dichiarano programmaticamente di non voler essere. Uno scenario che può essere foriero di nuovi stimoli e rivitalizzare la vita municipale, ma che nasconde anche una serie di problemi. O, almeno, di interrogativi che attendono risposta».

Per le liste civiche, insomma, è un passaggio cruciale.
«Guardo in maniera positiva a un’esperienza che è segno di auto-organizzazione della società rispetto ai partiti e che ha saputo mobilitare energie e competenze. La vera scommessa, oggi, è capire come si muoveranno quando ci sarà da prendere decisioni che chiamano in causa le politiche regionali. Padova oggi, pensiamo solo alla vicenda dell’ospedale, è un caso di scuola: c’è un sindaco a tutti gli effetti “civico”, una maggioranza di consiglieri che non si riconoscono in un partito, un orientamento difforme da quello manifestato dalla regione. E come l’ospedale ci sono tante altre partite aperte nella pianificazione territoriale di area vasta: in mancanza di una visione complessiva, come quella che garantiscono i partiti a livello regionale e nazionale, emergerà una posizione condivisa? I consiglieri comunali saranno tutti d’accordo o andranno in ordine sparso? In che misura e in quali forme saranno coinvolti gli elettori? Se le liste civiche non intendono essere solo un veicolo elettorale ma acquisire una loro solidità e stabilità, questo sarà il vero banco di prova».

A Padova, in ogni caso, la mobilitazione civica ha garantito al ballottaggio un’affluenza di oltre 10 punti superiore alla media. E lì Giordani, con ogni probabilità, ha vinto la partita.
«E la ha vinta non a caso, come tutti hanno subito sottolineato, grazie all’iniezione giunta dall’apparentamento con Lorenzoni. Vale a dire con un altro soggetto “civico”, le cui due liste hanno quasi doppiato il Pd. Che oggi festeggia la riconquista del municipio, ma che ha visto il suo elettorato dileguarsi: erano 35 mila voti alle politiche del 2013, avevano superato i 45 mila alle europee del 2014, erano 26 mila alle scorse comunali e si erano già ridotti a 18 mila alle regionali del 2015, il peggior risultato mai ottenuto. Ecco, quest’anno siamo a 12 mila...».

Si poteva fare peggio, come dimostra Forza Italia (21 mila voti nel 2013 e 3.500 oggi) o lo stesso Movimento 5 stelle (27.500 voti allora e meno di 5 mila oggi). A parte la Lega che cala ma tiene, non si salva nessuno…
«Questo è il terreno inesplorato in cui oggi ci troviamo, soprattutto quelli delle generazioni come la mia che sono cresciuti con l’idea di un elettorato fidelizzato, magari disponibile a qualche sbandata ma che fatalmente nei momenti cruciali tornava nel suo alveo d’origine. La serie storia dal 2013 a oggi dimostra invece quanto questo assioma sia superato. Il voto è assolutamente libero da vincoli, legami, storie. E questo è tanto più evidente in quella parte d’Italia, come il Veneto o le regioni dell’Italia centrale, in cui è stato a lungo figlio di una chiara identità politico-ideologica».

Se poi si vota per il sindaco e non per il parlamento, tutto si complica ancora di più…
«E infatti nel nostro Veneto “leghista”, che rielegge Zaia con una maggioranza schiacciante, la Lega governa solo Verona e Rovigo. Quest’anno vince solo a Cerea e Verona. Ed è comunque il partito più presente e visibile, con liste sue presentate in 41 comuni su 87 andati al voto. Il Pd è arrivato a 12 comuni, uno solo dei quali sotto i 15 mila abitanti; Forza Italia si è fermato a 11, Fratelli d’Italia a 4. Meglio i 5 stelle, con 22 liste. Ma di tutto questo, non sarebbe il caso che la politica si decidesse a riflettere?».

Per mettere a fuoco che cosa?
«Intanto per prendere coscienza di un dato di fatto. E poi per capire come ristrutturarsi: oggi i partiti hanno più parlamentari che consiglieri comunali, e sappiamo che i primi sono spesso più legati a Roma che alla loro città. Ma in queste condizioni come si “abita” un territorio? Come si seleziona una classe dirigente? E quanto si può pensare ragionevolmente di andare avanti? È una discussione indispensabile, e andrebbe fatta a livello regionale. Altrimenti il rischio che un approccio civico si sostituisca ai partiti anche alle prossime politiche non è da sottovalutare».

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