Ecco la legge "anti moschee" alla veneta

I sindaci avranno ampia discrezionalità sui luoghi di culto, che comunque dovranno sottostare a precisi vincoli. Non solo sale di preghiera, ma anche case di ministri e personale, spazi aperti e sagrati. La maggioranza più i tosiani in consiglio regionale: «Finalmente regole certe sull’urbanistica». Le opposizioni: «Ignorata la voce del patriarca». Possibili pesanti conseguenze anche sulle parrocchie.

Ecco la legge "anti moschee" alla veneta

Ci sono volute cinque ore tra dibattito e votazioni, ma al termine di una seduta fiume la maggioranza in consiglio regionale – compatta fino a tarda sera – ha approvato martedì scorso una legge che si scrive “Modifiche della legge regionale 11 del 2004 ‘Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio’”, ma si legge stop all’apertura di nuove moschee in Veneto.
Il perché è presto detto. Quella approvata dai 30 consiglieri di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia con l’aggiunta dei Tosiani (8 i contrari) rappresenta una stretta senza precedenti sui luoghi di culto che prende spunto da norme simili già in vigore in Piemonte, Calabria, Molise e Lombardia, quest’ultima parzialmente bocciata dalla Corte costituzionale.
«Per questo abbiamo atteso la sentenza e abbiamo modificato la legge tenendo conto dei principi espressi dal massimo organo della magistratura», ha sottolineato il leghista veronese, Alessandro Montagnoli, relatore della legge che è il risultato della fusione di due progetti di legge, uno dello stesso Montagnoli e uno del tosiano padovano Maurizio Conte.
«Abbiamo voluto dare ai sindaci uno strumento che permetta loro di gestire con criteri omogenei le attrezzature religiose all’interno dello strumento urbanistico – ha poi sottolineato Montagnoli – C’è bisogno di ordine, i tempi sono cambiati, oggi in Veneto non c’è più solo la chiesa cattolica. Attorno ai luoghi di culto nascono, come abbiamo visto, problemi di ordine pubblico e abbiamo bisogno di regole».

La convenzione con il comune
Da oggi in poi, dunque, chiunque voglia aprire un nuovo luogo di culto deve stipulare con il sindaco una convenzione che prevede tra l’altro un «impegno fideiussorio adeguato a copertura degli impegni presi». Convenzione che può prevedere anche l’obbligo di parlare italiano, particolare che espone anche questa norma all’incostituzionalità.
Le nuove «attrezzature religiose» dovranno avere strade di accesso adeguate, opere di urbanizzazione primaria, ampie superfici dedicate a parcheggio, oltre naturalmente a tutti gli standard sanitari minimi. Non solo: i luoghi di culto e gli annessi potranno sorgere esclusivamente nelle cosiddette zone F dei vecchi piani regolatori, cioè le aree funzionali che i comuni inseriscono a discrezione nei piani urbanistici e che oggi contengono tipicamente ospedali, chiese, impianti sportivi o altro. Per realizzarle dunque sarà determinante la volontà dei sindaci.

Ma che cosa si intende con attrezzature religiose?
È presto detto: qualsiasi tipo di struttura che abbia a che fare con una fede religiosa. Il nuovo articolo 31 bis della legge urbanistica regionale non esclude nulla. Ma proprio nulla.
Anzitutto ci sono le chiese, ma anche i sagrati, e poi le abitazioni per i ministri del culto ma anche del personale di servizio (quindi le case delle perpetue e dei sacrestani, se si guarda alla chiesa cattolica). Sono soggetti alla normativa anche gli edifici destinati alla formazione religiosa o ad attività «educative, culturali, sociali, ricreative e di ristoro», compresi oratori e simili senza fini di lucro. E ancora tutti gli edifici sede «di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione».
Ma il passaggio che più farà discutere sta nel successivo articolo 31 ter, quello che sottopone alla convenzione anche le aree scoperte «utilizzate per il culto, ancorché saltuario». Ciò significa certo che non vedremo più i musulmani pregare il venerdì nelle piazze del Veneto, ma anche che, se la legge sarà applicata per davvero, occorreranno autorizzazioni di tipo urbanistico perfino per le processioni del patrono durante le sagre parrocchiali. E su tutto questo i primi cittadini potranno anche indire un referendum tra la popolazione.

Un chiaro stop alle moschee
Che si tratti di una legge anti moschee, lo si capisce nettamente dall’emendamento numero 4 presentato dallo stesso Montagnoli. La maggioranza a trazione leghista-tosiana, infatti, esclude tutte le strutture esistenti da questi obblighi di legge, tranne gli edifici sede di associazioni in qualche modo riconducibili al culto religioso. Tradotto dal burocratese, questo significa che buona parte delle moschee venete dovrà chiudere i battenti.
È noto infatti che le sale di preghiera islamiche nostrane sono in gran parte gestite da associazioni e che spesso si trovano fuori dalle zone F. D’altra parte l’assessore Donazzan durante il dibattito era stata chiara. Abbandonando i freddi tecnicismi urbanistici e i riferimenti all’ordine pubblico con cui i colleghi di maggioranza avevano trapuntato i loro interventi, ha detto fuori dai denti: «Quest’aula ha il dovere di governare il nostro tempo, ed è chiaro che oggi il convitato di pietra è l’islam. Il mondo è cambiato nostro malgrado e città come Parigi e Bruxelles sono diventate pericolose proprio perché non hanno regolamentato i luoghi di preghiera dove spesso si riuniscono frange violente. Vogliamo che succeda anche qui? Vi ricordo che da una piccola moschea di Ponte nelle Alpi sono partiti i primi reclutamenti di terroristi che poi sono finiti nelle cronache internazionali».

Pesanti conseguenze anche per le parrocchie

«Insomma, da oggi in poi il vangelo dirà “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, ci sarà bisogno dell’autorizzazione”».
È il sarcasmo del consigliere Pd Claudio Sinigaglia a suggellare la battaglia a colpi di emendamento che si è conclusa con l’approvazione della legge antimoschee veneta. Ma se lo scontro tra l’amministrazione Zaia e le comunità musulmane su questa norma era già stato preventivato, l’elemento politico più rilevante è il nuovo fronte aperto con la chiesa cattolica.
Il patriarca Moraglia – intervenuto sul settimanale diocesano Gente Veneta la scorsa settimana – è stato citato praticamente da tutti i consiglieri intervenuti nel dibattito. «Il patriarca rappresenta 5.327 parrocchie venete in quanto presidente della Conferenza episcopale Triveneto – ha detto ancora Sinigaglia – La sua richiesta di sospendere la legge e confrontarci prima di proseguire va ascoltata. Non andiamo allo scontro istituzionale». Scontro che invece si è consumato con il voto a palazzo Ferro-Fini dopo le 22 di martedì scorso.
Nelle file della maggioranza in molti hanno sottolineato l’assenza della sola chiesa cattolica alle audizioni in commissione consiliare, lo scorso gennaio. Ma Silvia Rizzotto, capogruppo di Zaia presidente, è andata oltre: «Con tutto il rispetto per il patriarca: questo provvedimento è in consiglio da ottobre e nessuna proposta è arrivata da nessuna confessione religiosa, nemmeno dalla chiesa cattolica. I rilievi sono giunti solo attraverso la stampa. Una nota scritta alla commissione sarebbe stata gradita».

Cosa potrebbe succedere
Al di là di come sono andate le cose, la legge urbanistica approvata negli scorsi giorni, che non fa distinzione alcuna tra fedi in nome della libertà di culto, imbriglierà certamente anche la vita delle parrocchie e del vasto mondo dell'associazionismo cattolico veneto. E su questo la minoranza ha impostato la sua opposizione, culminata con i 36 emendamenti presentati da Stefano Fracasso del Pd non appena è stato chiaro che il testo non sarebbe stato rinviato in commissione.
«Stiamo aprendo a un pericoloso municipalismo religioso, un’anarchia che non permetterà di gestire le fedi. In ogni comune il culto potrebbe avere regole diverse – ha detto Fracasso, che ha anche paragonato la restrizione delle aree geografiche praticabili alla costituzione del ghetto di Venezia – Il patriarca chiede a quest’aula perché le chiese oggi vengono considerate alla stregua di un centro commerciale: da quando in qua il culto è un problema urbanistico?».
È la complessità dell’istituzione chiesa, che ha permeato la cultura e lo sviluppo del Veneto nei secoli, al centro dell’attenzione. E gli esempi, anche nell’aula sul Canal grande, si sono sprecati.
Si è andati dalla parrocchia che decide di realizzare un campo da gioco in un terreno di proprietà attiguo alla chiesa: il sindaco potrà vietarlo perché le aree in cui sorgono le nostre parrocchie non sono di tipo F. Stesso discorso vale per una comunità che volesse costruire in centro paese una nuova scuola per l’infanzia.
Ma si arriva ai casi assurdi per cui, siccome la legge norma anche gli spazi all’aperto usati saltuariamente per il culto, un gruppo scout dovrà sottostare alla legge urbanistica per le proprie attività.
Per non parlare dei gruppi che si ritrovano a pregare nelle case private: la legge infatti vale anche per tutte le strutture in cui una «comunità di persone in qualsiasi forma costituite» si dedichino «all’esercizio di culto o alla professione religiosa».
«In quest’aula c’è una cristianità a intermittenza – ha detto Manuel Brusco del Movimento 5 stelle – Solo poche settimane fa la maggioranza ha fatto la battaglia per il crocefisso in aula e ora si rifiuta di accogliere i rilievi del patriarca».

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