Fondere i piccoli comuni? L'inevitabile percorso ad ostacoli

Da Ponte San Nicolò a Este a Casale di Scodosia. Tre casi, emblematici di quello che sta accadendo, in merito alle novità introdotte un paio di anni or sono dalla legge Delrio, per quanto riguarda i comuni che, spinti dalla legge di stabilità, dalla crescente carenza di risorse, dalla spending review stanno cercando di ripensare l'assetto del territorio. Ma non sempre la strada verso nuove aggregazioni appare semplice e spianata.

Fondere i piccoli comuni? L'inevitabile percorso ad ostacoli

Ponte San Nicolò guarda fuori
La notizia ha soltanto qualche mese: Ponte San Nicolo, comune dell’immediata periferia cittadina (oltre 13.500 abitanti), con una parte consistente della sua popolazione, quella di Roncaglia, di respiro urbano, ha deciso di avviare la fusione con Legnaro (8.700 residenti, realtà di seconda fascia rispetto a Padova) e Polverara, comune di poco più di 3 mila cittadini, decisamente ancora definibile “rurale”.
La domanda che ci si pone è una sola: perché, nel momento in cui si sostiene che il capoluogo provinciale dovrebbe irrobustire la propria consistenza, anche quantitativa, oltre i 210 mila abitanti, allargando i confini magari ai tredici comuni dell’hinterland, un municipio importante come quello di Ponte sceglie di guardare fuori, verso i campi (giusto per usare una metafora)?
Le motivazioni, come fa capire il sindaco Enrico Rinuncini, sono molto semplici. Da un lato il tradizionale timore dei municipi periferici di essere fagocitati dalla città; dall’altro il dato più recente: Padova non sta facendo nulla per diventare più grande, al di là di proporre qualche accordo in termini di sicurezza.
«Se tutti i comuni dell’immediata periferia (che assieme fanno più o meno tanti abitanti quanti la città) decidessero di unirsi a Padova, anche noi ci staremmo, ma non ci sono le condizioni. E allora? Cosa dovremmo fare?».
In effetti la scelta di Ponte San Nicolò di diventare “padovana” in solitario potrebbe apparire quanto meno temeraria. Qualche anno fa c’era stato anche uno studio per unire alla città Cadoneghe e Vigodarzere, ma non se ne parla più. Insomma, l’ipotesi più probabile è che Padova continui a rimanere quella che è, e che gli altri comuni, anche quelli più prossimi, cerchino soluzioni diverse.
Ponte San Nicolò è convinto che fondersi con Legnaro e Polverara (che però ha qualche difficoltà…) sia la strada giusta per dare vita a un municipio di discrete dimensioni, prendendo i contributi per l’operazione (circa una ventina di milioni). Il capoluogo? Se non si muove, si arrangi.

La lunga storia di Este e Ospedaletto
È dal 2012 che Este (15.500 abitanti) e Ospedaletto (5.800) hanno scelto la via delle fusione. Un cammino lungo e complicato, non tanto nella volontà dei protagonisti, quanto negli inghippi normativi e soprattutto regionali. Soltanto qualche settimana fa la commissione di palazzo Balbi ha dato il via libera all’operazione, ora toccherà al consiglio, probabilmente il 5 aprile, pronunciarsi in merito.
Se tutto andrà bene, il referendum approvativo della scelta degli amministratori locali si terrà entro il 2017 o nei primi mesi del ’18 .
Sulla lunghezza dell’iter pesa il sospetto di qualche ostruzionismo politico proprio in sede regionale: a Este si vota la prossima primavera e il sindaco Giancarlo Piva lascerà; non si sa bene se chi gli succederà, magari di parte diversa, sarà ancora d’accordo sulla fusione. Anche a Ospedaletto urne aperte nel 2016. Resta il fatto che la vicenda ha dell’estenuante.
«Il procedimento di fusione è molto complesso, la regione gioca un ruolo decisivo. Tra l’altro vi sono notevoli differenze normative proprio da regione a regione – spiega Piva – ma dal nostro punto di vista è una strada da percorrere».
«Fino a qualche tempo fa – aggiunge il sindaco di Este – i comuni erano attenti alle spese, ai soldi che avevano e a quelli che potevano spendere. Oggi il tema centrale è l’organizzazione dei municipi: è su questo che bisogna incidere e la fusione interviene proprio in tale ambito; per ciò la ritengo una scelta lungimirante».
Certo, se per una fusione servono sei-sette anni, anche la lungimiranza può logorarsi e alla fine diventare vana.

Casale di Scodosia, Merlara e Urbana diventano grandi?
In questi giorni sta circolando tra i cittadini di Casale di Scodosia, Merlara e Urbana, tre comuni del Montagnanese, un depliant: “La fusione fa la forza. +servizi, -costi =identità”.
Agli abitanti dei tre municipi viene chiesto di indicare le loro preferenze in merito a che cosa vorrebbero, a dove risparmiare e a come incentivare un senso di appartenenza comune.
«Il tempo dei miracoli – scrivono i sindaci – comincia a essere finito e abbiamo urgente bisogno di trovare, come amministratori responsabili, una soluzione che nei prossimi anni dia garanzie ai cittadini di avere istituzioni con risorse, costi e servizi in grado di soddisfare le loro esigenze e non di dire “mi dispiace” o “è il massimo che possiamo fare con il soldi che abbiamo”».
«Il cammino di fusione – spiega il sindaco di Casale, Stefano Farinazzo – è iniziato un anno e mezzo fa, tra soggetti che collaborano già nell’ambito di alcune funzioni fondamentali. Siamo certi che metterci insieme, dando vita a una realtà di circa 9.700 abitanti, sia un bene, senza contare i contributi di cui potremmo disporre».
C’è una particolarità in questa vicenda: i tre primi cittadini (il citato Stefano Farinazzo, Claudia Corradin e Marco Baldo) e le relative amministrazioni appartengono ad altrettante aree politiche diverse: Casale è governata dalla Lega, Merlara da una coalizione di centro, Urbana dal centrosinistra.
«Tutto questo è irrilevante: guardiamo soprattutto al bene delle nostre comunità, il resto viene dopo; d’altra parte è meglio che ci muoviamo spontaneamente prima di essere costretti da una legge statale», commenta il primo cittadino di Casale.
I tre comuni della Bassa hanno fatto le cose per bene: uno studio di fattibilità (affidato a una società dell’Anci), ora le consultazioni informali dei cittadini e non negano con un certo orgoglio di avere l’obiettivo di diventare il più grosso municipio della zona, superando il tradizionale capoluogo di mandamento, cioè Montagnana, la quale per il momento è ferma, non in grado di fare da traino a nessun movimento tra le diverse realtà territoriali.
Sui tempi, i protagonisti sperano di chiudere l’operazione in un paio d’anni, regione e stato permettendo.

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