Stretti tra debito pubblico e vincoli comunitari

La finanza pubblica è uno dei temi principali del dibattito elettorale. Il giudizio di Francesco Papadia per 14 anni ai vertici della Banca centrale europea. Rivedere i vincoli di bilancio? Una simile proposta non sarà mai accettata dagli altri governi europei.

Stretti tra debito pubblico e vincoli comunitari

Fuori dall’Eurozona, ridiscutere i Trattati e “sfondare” le regole auree della finanza pubblica di matrice comunitaria sono le posizioni “dure” in campagna elettorale. Nuovi rapporti di forza da rinegoziare con la Commissione e gli altri big europei per dare spazio di manovra economica alla ripresa italiana, le posizioni “soft” dei partiti tradizionalmente più europeisti.

Ma come sempre avviene alla prova di governo, l’osservanza di Roma ai vincoli comunitari non si discuterà, spiega Francesco Papadia, dal 1998 al 2012 direttore generale del dipartimento “Operations” della Bce (responsabile per la preparazione delle operazioni di politica monetaria dell’Eurosistema), oggi in forza al think tank Bruegel, uno dei più influenti centri di ricerca sull’economia europea a livello globale.

Dottor Papadia qual è oggi il quadro generale macroeconomico dell’Italia che va al voto?

«Ricordo l’immagine di una bottiglietta di Coca Cola coperta di bollicine di condensa di acqua e un sottotitolo che la definiva: “Fredda, ma in corso di riscaldamento”. Per l’economia italiana adopererei una frase analoga: “Condizioni mediocri, ma in miglioramento”. Le condizioni sono mediocri perché l’Italia continua a crescere meno degli altri paesi europei. In miglioramento perché finalmente, dopo anni di crescita stentata o addirittura negativa, l’Italia riesce a crescere a un ritmo un poco più soddisfacente del passato».

Nello specifico quali sono i margini di manovra rispetto ai vincoli comunitari di bilancio che siamo tenuti a rispettare?

«Il vero problema di finanza pubblica in Italia non sono i vincoli comunitari, ma il debito pubblico. L’Italia deve impostare un programma di lunga lena per ridurre, gradualmente ma significativamente, il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, indipendentemente dai cosiddetti vincoli comunitari. Lo strumento principale di questo programma deve essere un’azione mirata di riforme strutturali che porti la crescita italiana di lungo periodo su livelli più elevati, simili a quelli medi dell’Unione Europea.

La strategia vincente per ridurre il peso del debito sul prodotto richiede una crescita sostenuta dell’economia.

I vincoli comunitari, che l’Italia ha liberamente sottoscritto e a cui si è impegnata, non sarebbero così stringenti per un’economia con tassi di crescita meno anemici».

Qual è il giudizio dell’establishment comunitario – commissione, partiti europei, commentatori economici – circa la sostenibilità delle ricette proposte in campagna elettorale rispetto alla realtà dei conti pubblici italiani? E la sua opinione?

«Le proposte presentate dai vari partiti in campagna elettorale partono dalla falsa premessa che si possa ottenere la crescita solo con la spesa pubblica. Invece nessun partito presenta proposte per ridurre il peso del debito e raggiungere una crescita economica più sostenuta, benché queste rappresentino la vera soluzione ai problemi dell’Italia, compresa la terribile disoccupazione, in particolare giovanile. Il conflitto, evidente, con le regole comunitarie, in particolare per quanto riguarda l’impegno a ridurre il debito, non è l’aspetto che mi preoccupa di più. Trovo molto più grave il fatto che gran parte delle proposte proponga una strategia fondamentalmente errata».

L’idea di ritrattare o rivedere i vincoli di bilancio europei, come si inserisce nel dibattito politico continentale?

«La proposta di rivedere i vincoli di bilancio europei è irrealistica, perché non sarà mai accettata dagli altri governi. È sbagliata, perché va contro gli interessi dell’Italia, per i motivi prima esposti. Arriva nel momento peggiore, perché si pone oggettivamente di traverso ai progetti di completamento dell’Unione economica e monetaria che il governo francese ha proposto con forza e che un nuovo governo tedesco potrebbe appoggiare. Questi progetti richiedono al tempo stesso maggiore solidarietà ma anche maggiore responsabilità dei diversi paesi. Nel momento in cui un grande paese, come l’Italia, chiede di riconsiderare gli impegni presi di riduzione del debito, le possibilità di progresso peggiorano, perché viene a mancare proprio uno dei due ingredienti principali: la responsabilità».

La fine del quantitative easing all’interno della politica monetariadella Bce, può mettere in fibrillazionei mercati finanziari in relazioneallo stock di debito sovranoitaliano e a una possibile ingovernabilitàdell’Italia?

«La combinazione tra la fine del quantitative easing e i problemi di governabilità in Italia potrebbe avere effetti deleteri, soprattutto se causerà, tra investitori e consumatori, dubbi sulla sostenibilità del debito dell’Italia».

M5S e Lega avevano proposto ampie discussioni sull’opportunità di uscire dall’eurozona. Fattibile?

«Un’uscita dell’Italia dall’Eurozona sarebbe esiziale. Nel breve-medio termine produrrebbe una grave crisi finanziaria che avrebbe ripercussioni molto gravi sull’economia, con una caduta del reddito e un aumento dell’inflazione. Nel lungo periodo riporterebbe l’Italia nel circolo vizioso tra svalutazione della moneta e inflazione, con ripercussioni gravi sull’economia reale».

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