Italia, quattro questioni politiche sul piatto

I grandi interrogativi sulla politica italiana sono inesorabilmente legati alla riforma della legge elettorale, con i partiti alla finestra in attesa della Corte costituzionale.

Italia, quattro questioni politiche sul piatto

Dopo la fine del governo Monti ogni nuovo passaggio della politica italiana ha assunto i toni della svolta, della grande frattura. Anche il 2017 sembra avere tutte le caratteristiche per diventare ancora una volta “l’anno zero” della politica, del passaggio fatidico dalla seconda alla terza Repubblica. La disfatta del governo Renzi, a seguito della nettissima sconfitta referendaria e nonostante la formazione del governo Gentiloni, ha anticipato l’avvio di una lunghissima campagna elettorale nazionale.

Si voterà già nel 2017, a primavera? O si andrà a scadenza naturale della legislatura nel 2018? I grandi interrogativi dei prossimi mesi sono legati inesorabilmente alla riforma della legge elettorale, con i partiti alla finestra in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. Proporzionale o Italicum, sullo sfondo rimangono in ogni caso sul tappeto quattro grandi questioni politiche.

La prima: la guerra interna al Partito democratico, devastato dal confronto referendario con i renziani contrapposti alle “minoranze” sul voto sì/no, sfocerà in una scissione, con il partito della nazione di Renzi e la “ditta” Bersani D’Alema a tentare l’ennesima avventura a sinistra del centrosinistra? E più a margine: Renzi, che di andare a fare altro nella vita oltre alla politica non ci pensa proprio, è destinato a rimanere l’unico leader competitivo nel mercato o il distacco dal potere e da palazzo Chigi metterà ombra anche alla sua figura?

La seconda questione: se tornasse davvero una legge proporzionale, quali sarebbero le conseguenze nella complicatissima fase di ricostruzione del centrodestra di area moderata-Forza Italia? La crisi economica del paese – il terzo fattore di analisi – al di là del biennio dell’ottimismo e dell’anti-gufismo renziano, è tutt’altro che risolta: il debito pubblico viaggia in costante crescita (a breve 20 miliardi di euro si sommeranno con l’intervento salva-banche agli oltre 2 mila miliardi di stock), la disoccupazione cresce, le fasce giovanili sono completamente escluse da ogni rimbalzino sulla crescita e sfiduciate dalla precarietà.

Da ultimo il sistema bancario è da puntellare con soldi pubblici, pena una nuova grande crisi sistemica: misure fortemente penalizzanti per il gradimento di qualsiasi governo in carica.

Se l’economia dovesse, dunque, rendere necessarie scelte assai impopolari da condividere a larga maggioranza, è naturale supporre che, con il combinato disposto di una possibile legge elettorale proporzionale e l’enormità dei problemi cui far fronte, alle prossime elezioni si decideranno solo le “proporzioni” di peso in seno a un governo nazionale di larghe intese. Che sia Paolo Gentiloni, o Franceschini, o un terzo da scoprire poco cambierà. A meno che, a prescindere dall’articolazione della legge elettorale, il M5s non sfondi definitivamente la resistenza del consenso elettorale – quarta questione – e si prenda di fatto la maggioranza del paese.

Con conseguenze tutte da inquadrare: con l’ipotesi Italicum in vigore si troverebbero l’onere di guidare concretamente il paese, in una fase densa di incognite sul piano finanziario e nel pieno di una crisi sistemica dell’Unione Europea e dei vincoli economici comunitari.

La prova dei catapultati dal nulla – studenti universitari fuori corso o praticanti avvocati – alla tolda di comando di importanti realtà politiche sinora è stata deludente (il riferimento è evidentemente alla classe dirigente grillina, locale e nazionale), e forse proprio per questo i partiti tradizionali potrebbero far leva sulle briciole di credibilità che ancora riscuotono nell’opinione pubblica e impedire al terzo paese più importante d’Europa di piombare nell’incertezza più assoluta.