Le sfide che ci attendono prima e dopo il 4 marzo

La chiesa non è un partito, dialoga con tutti ma è attenta di fronte a questa tornata elettorale: l'invito del cardinale Gualtiero Bassetti a superare le pastoie ideologiche del Novecento per "Ricostruire la speranza, ricucire il paese, pacificare la società".

Le sfide che ci attendono prima e dopo il 4 marzo

«Ricostruire la speranza, ricucire il paese, pacificare la società».

Sono le tre “sfide” per l’Italia che il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha illustrato nella prolusione di apertura del Consiglio episcopale permanente svoltosi recentemente a Roma. Nella circostanza l’arcivescovo di Perugia ha anche colto l’occasione per fare il punto sulle tre questioni più urgenti del nostro paese. Si va dalla “questione migranti”, che non può mai tramutarsi in xenofobia o addirittura evocare discorsi sulla razza, alla “questione economica” (Bassetti ha ricordato l’aumento di ben il 97 per cento rispetto a 10 anni fa della condizione di povertà assoluta tra le famiglie), alla “questione sociale” con l’invito ai partiti e ai candidati a non speculare sulle paure degli elettori.

In vista dell’appuntamento del 4 marzo il porporato toscano ha poi riecheggiato l’appello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a non disertare le urne e a evitare di fare promesse elettorali irrealizzabili. Quindi ha ribadito che la chiesa non è un partito e non stringe accordi con alcun soggetto politico, ma dialoga con tutti. Infine ha raccomandato ai politici cattolici di avere a cuore soprattutto i poveri. Perché se i poveri, tutti i poveri, anche quelli forestieri di cui non sappiamo nulla, appartengono alla chiesa “per diritto evangelico”, come disse Paolo VI, ogni cristiano è chiamato ad andare verso di loro con un atteggiamento di comprensione e compassione. Anche per questo – ha precisato il porporato – quello relativo alla condizione di povertà assoluta delle famiglie italiane (si parla di oltre un milione e mezzo) è un dato allarmante. Se si fermano le famiglie si ferma il motore sociale del paese, smette di battere il cuore della società. 

E sempre in riferimento all’appuntamento del 4 marzo il presidente della Cei ha insistito sul fatto che per il futuro del paese, da Nord a Sud, occorre mettere da parte le vecchie pastoie ideologiche del Novecento e abitare questo tempo con occhi sapienti e nuovi propositi di ricostruzione del tessuto sociale ed economico dell’Italia. In questa grande opera è auspicabile non solo l’impegno dei politici, ma di tutte le persone di buona volontà, chiamate a superare le pur giustificate differenze ideologiche per raggiungere una reale collaborazione e non continuare a inveire contro tutto e contro tutti. Quando si soffia troppo sul fuoco le scintille possono volare lontano e incendiare la casa. Ne abbiamo avuto un segnale in questi giorni nell’episodio di razzismo e di violenza a Macerata. Di qui l’invito a porci tutti al servizio del bene comune e a ridare spessore etico alla politica. Se è immorale infatti lanciare promesse che si sa già di non poter mantenere, non è meno immorale attendersi o propagandare una palingenesi che realisticamente non è a portata di mano di nessuno.

La chiesa, il clero e le varie realtà ed espressioni ecclesiali non si coinvolgeranno direttamente nella politica dei partiti. Tanto meno faranno il tifo per questo o quello schieramento politico che si è formato in vista delle elezioni. Questo ovviamente non legittima una “diaspora” culturale dei cattolici o la rinuncia a una verifica seria e rigorosa delle conseguenze che il proprio voto avrà per il futuro del nostro paese. Sul quale incombe, non dimentichiamolo, quello che gli esperti ritengono il problema dei problemi della prossima tornata elettorale: l’ingovernabilità. Vale a dire la difficoltà, se non l’impossibilità, di formare un governo che da una parte sia in grado di risolvere i problemi dell’Italia, dall’altra rassicuri i mercati e non comprometta le buone relazioni con l’Europa. 

In questa direzione il parlamento che verrà eletto non avrà solo il compito di affrontare una congiuntura economica e sociale insidiosa e difficile, ma anche il problema di trovare protagonisti politici che siano disponibili alla mediazione e alla collaborazione. Cosa non facile e per nulla scontata. Di qui una doppia urgenza: abbattere il muro di un astensionismo che viene dato al 30-40 per cento e in secondo luogo votare candidati che non siano dediti al linciaggio dell’avversario politico, ma si dimostrino capaci di interagire, dialogare, cogliere nei vari programmi di governo punti di contatto, di convergenza, e non soltanto di contrapposizione, di polemica acida, rancorosa, o Dio non voglia anche di odio o di violenza.

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