Niente contratto, edilizia in sciopero

Il rinnovo del contratto nazionale del comparto edile è in stallo ormai da 18 mesi senza una reale trattativa intavolata. Così il prossimo 18 dicembre gli operai scenderanno in piazza per manifestare. Padova sarà il luogo della protesta di tutti i lavoratori del Triveneto.

Niente contratto, edilizia in sciopero

Una paziente attesa di oltre un anno per tentare di tenere aperto un negoziato sul quale, al momento, la controparte non sembra disposta a trattare.
Quasi un milione di lavoratori in Italia attendono dal 1° luglio 2016 il rinnovo del contratto nazionale del comparto edile, un contratto di qualità nel quale non si parla solo di aumento salariale, ma anche di tutela contro il lavoro nero e l'evasione.

Al momento l'impegno delle sigle di categoria, Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, non ha portato a risposte esaustive, così lunedì 18 dicembre è stato proclamato lo sciopero generale su tutto il territorio nazionale.

Diciotto proprio come i mesi scoperti da quando il precedente contratto è scaduto: solo a Padova, città scelta per il Triveneto, mancano all’appello un milione di ore lavorate e circa nove milioni di euro di stipendi in un sistema che, rispetto al 2007, ha perso oltre il 50 per cento dei suoi numeri: le imprese iscritte nella cassa edile da 1.479 oggi sono 814; gli operai sono passati dai 10.286 del 2007 ai 4.524 del 2017, mentre gli appalti pubblici affidati in provincia di Padova si sono ridotti a un terzo nel valore: oggi siamo fermi a 135 milioni di euro.

Per questo oltre 1.500 lavoratori, provenienti da Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, sfileranno per rivendicare i propri diritti: dalla stazione passando per via Trieste, viale Codalunga e corso del Popolo, il corteo arriverà in piazza de Gasperi dove ha sede l’Ance, l'Associazione nazionale costruttori edili, che assieme alle cooperative di costruzione rappresenta la controparte che non vuole sedersi attorno a un tavolo per valutare una soluzione che soddisfi tutti gli attori coinvolti.

Le richieste

Le richieste mosse dai tre sindacati vanno dagli aumenti salariali in grado di riattivare i consumi alla riforma delle casse edili, passando per una tutela necessaria contro il lavoro nero e l'evasione, una maggiore sicurezza sui posti di lavoro, la creazione di un fondo sanitario integrativo nazionale e il rafforzamento della previdenza complementare da affiancare al potenziamento del fondo integrativo per il pensionamento anticipato.

«Sicuramente c'è una parte economica rilevante soprattutto in un tempo, quello attuale, dove gli stipendi di un dipendente operaio non sono all'altezza del costo della vita – spiega Dario Verdicchio di Fillea Cgil – ma vogliamo porre l'accento anche su una parte normativa nel contratto nazionale che va aggiornata, perché ci troviamo davanti a un settore che a causa della crisi si è ridimensionato e trasformato. Sa noi dobbiamo pensare alla rigenerazione urbana sostenibile come rilancio del settore, allora è necessario fare formazione e garantire al lavoratore una preparazione idonea. La stessa bilateralità, le stesse scuole edili sono strumenti che vanno aggiornati in relazione a quello che vuole il settore con processi di costruzione e tipi di materiale che sono inevitabilmente mutati».

La sempre più snervante situazione di stallo per gli operai edili è aggravata se estendiamo lo sguardo verso gli altri settori che, senza intoppi, hanno chiuso nei tempi prestabiliti i rinnovi dei rispettivi contratti collettivi nazionali: Andil (Associazione nazionale industriali dei laterizi) e Assobeton di Confindustria hanno firmato assieme a Feneal, Filca e Fillea, a fine marzo 2016, l'estensione per altri tre anni fino a marzo 2019.
Stesso anno e stretta di mano per Federlegno e i sindacati per il comparto del legno, sughero, mobili ed arredamento: «Gli altri contratti sono stati siglati e sottoscritti, tutti tranne quello dell'edilizia, forse il più importante con un milione di addetti – prosegue Gino Gregnanin, segretario di Feneal Uil di Padova e Rovigo – e per un settore che, a livello nazionale ha il maggior tasso di sindacalizzazione che va oltre il 60 per cento. Ci sentiamo di difendere e tutelare le aziende sane e serie che continuano a investire e lo sciopero è l'unica forma democratica che abbiamo per far capire alla controparte che è necessario ripensare a un contratto con delle regole certe su tutto il territorio nazionale, perché quando il sistema industriale passa da imprese con centinaia di dipendenti a quelle di solo sei o sette lavoratori, l'intero settore è polverizzato e pertanto è necessario un unico e pieno controllo dall'alto».

La deflazione di quasi 10 anni fa, oltre a cambiare i connotati alle aziende, ha anche costretto le stesse a ripensare alle proprie politiche interne sulla gestione dei lavori pubblici.
Gli incentivi della qualificazione edilizia, che ha agevolato le piccole imprese, hanno ulteriormente affossato le grandi aziende di un tempo e in queste condizioni, oggi, il sistema edilizio deve confrontarsi con privati che stentano sempre più a fare investimenti per comprare o ristrutturare casa, e con i grandi temi nazionali che richiedono rigenerazione urbana per prevenire, per esempio, il rischio idrogeologico o quello sismico.

«Le aziende grosse non esistono più e quelle più piccole portano con sé tutta una serie di problematicità – conclude Giorgio Roman di Filca Cisl – perché, anche supponendo che improvvisamente cambi la politica del governo con finanziamenti per lavori importanti, cosa troveremmo? Avremmo un sistema non in grado di gestire il compito perché senza l'impresa strutturata si andranno a creare consorzi o reti ognuno con le specifiche competenze. Si parla di tanto di rigenerazione, ma non abbiamo bisogno di aspettare un terremoto per cambiare i piani».

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