Parlamento: è iniziato il riposizionamento in vista delle elezioni

Intervista a Massimo Franco, editorialista del Corriere della sera, analizza gli scenari possibili di questo scorcio di legislatura e il ruolo dei diversi leader. Sergio Mattarella, osserva, è diventato il vero regista di questa coda di legislatura. Oggi il baricentro si è spostato decisamente da Palazzo Chigi al Quirinale

Parlamento: è iniziato  il riposizionamento in vista delle elezioni

Le tensioni interne al Partito democratico, la ricomposizione in atto dell’area di centrodestra, con il passaggio di numerosi parlamentari centristi verso Forza Italia, e l’avvicinarsi della campagna elettorale stanno progressivamente ingessando la produzione legislativa delle Camere. È concreto il rischio di una “politicizzazione” estrema nella discussione dei diversi provvedimenti di legge, come afferma Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera.
Stiamo assistendo in queste settimane a numerosi “ritorni a casa” nel centrodestra: il Parlamento è destinato a diventare il terreno di battaglia principale in chiave elettorale? «Formalmente sì, sebbene il “ritorno a casa” sia legato più al timore di non essere ricandidati o di non riuscire a essere rieletti, che non a scelte di tipo ideale.

Tra l’altro, la sensazione è che si tratti di una transumanza di ceto politico, che non implica necessariamente il “ritorno a casa” degli elettori. Lo scetticismo col quale Silvio Berlusconi affronta questi ritorni è indicativo.

Si tratta di un segnale, questo sì. E potrebbe avere conseguenze sulla tenuta della maggioranza: anche se la mia impressione è che tutti sappiano che l’attuale governo “non può” cadere senza conseguenze nefaste per tutti: tranne che per i Cinque Stelle e la Lega, forse». 
Dal punto di vista legislativo, quali provvedimenti rischiano di arenarsi definitivamente? «Lo ius soli è uno di questi provvedimenti. Ma più in generale, il timore è che i partiti scarichino i propri problemi interni e la competizione tra di loro sulle misure ancora in discussione. E cioè che siano votati o bocciati in base a calcoli squisitamente elettorali».
Se i rapporti dentro la maggioranza del governo Gentiloni dovessero “complicarsi”, rischia anche la legge di bilancio? L’esercizio provvisorio è un’ipotesi davvero estrema? «Credo e spero che sia un’ipotesi davvero estrema. La scissione del Pd e lo scontro a sinistra rappresentano un’incognita da non sottovalutare. Da mesi la sinistra, che è il partito-perno della maggioranza, scarica sul Parlamento i suoi problemi interni. E la rottura di fatto con i centristi di Angelino Alfano è un elemento di incertezza in più.

La mia sensazione è che però alla fine tutti si renderanno conto di non potere tirare la corda fino a mettere a rischio la legge di bilancio. I mercati finanziari ci punirebbero seriamente».

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, potrebbe diventare più “centrale” nella vita istituzionale in chiusura di legislatura? «Lo è già. Silenziosamente, con grande discrezione, Sergio Mattarella è diventato il vero regista di questa coda di legislatura. Rispettando gli ambiti del potere altrui, e rivendicando nei fatti i propri poteri, ha permesso alla legislatura di andare avanti e steso una rete protettiva intorno al governo in nome della stabilità. Oggi il baricentro si è spostato decisamente da Palazzo Chigi al Quirinale. E questa è una garanzia per tutti».
Quale strategia politica adotterà nei prossimi mesi il premier Gentiloni? Si intesterà qualche battaglia simbolica tra le diverse leggi in stand-by? «Credo che la strategia di Paolo Gentiloni sia obbligata: cercare di portare a casa tutte le riforme possibili rimaste in sospeso, dichiarando continuità con l’esecutivo di Matteo Renzi ma sapendo che probabilmente dovrà ritagliarsi margini di autonomia crescenti. Soprattutto sulla politica finanziaria, il premier e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan dovranno scegliere in qualche misura tra gli interessi di partito e quelli italiani. Per il momento stanno optando per i secondi, per fortuna. Lo si è visto col rinvio della legge sullo ius soli che poteva mettere a rischio la maggioranza al Senato». 
L’ultimo miglio della legislatura riserverà qualche sorpresa? Incidenti di percorso più o meno casuali, dimissioni eccellenti in vista delle elezioni...? «Ci potrebbero essere sorprese nel senso che forse, chi pensava a elezioni anticipate non dispera di ottenerle con qualche incidente parlamentare in autunno. I margini, però, mi sembrano sempre più stretti. Sorprese potrebbero venire da una ripresa del dialogo sulla legge elettorale. E dopo le elezioni regionali in Sicilia a novembre: il Pd potrebbe trovarsi in ulteriori difficoltà, e subire una seconda scissione. Ma non prevedo ripercussioni sul governo, comunque. I rischi per l’Italia sono troppo alti».
Silvio Berlusconi è il play-maker del centrodestra, Grillo lo è per i 5 Stelle e Renzi per il Pd. La politica italiana si è ristretta ad un triumvirato o possono emergere nuovi spazi - e “uomini nuovi” - di manovra politica entro il 2018?«È un triumvirato più debole di quanto appaia.

Sia Renzi che Berlusconi sono leader logorati rispetto al passato. La loro “centralità” potrebbe non consentire comunque la creazione di una maggioranza, e dunque rivelare la loro impotenza più che la loro forza. Non si deve trascurare la Lega di Matteo Salvini.

Quanto a Beppe Grillo, nonostante appaia il principale beneficiario della crisi dei partiti, dovrà anche lui fare i conti con un elettorato che lo condanna a essere “contro”, mentre potrebbe ritrovarsi a dover dimostrare senso di responsabilità e far vedere se è in grado di esprimere una cultura di governo.  E comunque, l’alto astensionismo ci dice che l’opinione pubblica sta aspettando di vedere se emerge un’offerta politica diversa. Oggi una grossa fetta dell’elettorato non si sente rappresentata».

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