Per i giovani il lavoro è un miraggio: si riparte da Cagliari

Al termine della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani di Cagliari dedicata al lavoro, con suor Alessandra Smerilli del comitato preparatorio affrontiamo il dramma dell'emergenza lavorativa tra i giovani, considerati da alcuni una "generazione perduta". Nel frattempo, però, le sfide delle nuove tecnologie, della robotica, dell’automazione e persino delle intelligenze artificiali, se affrontate per essere messe al servizio della persona, potranno rappresentare un ulteriore passo in avanti, dando più tempo per la cura e l’umanizzazione.

Per i giovani il lavoro è un miraggio: si riparte da Cagliari

Gli indicatori economici per una volta sono tutti d’accordo. L’Italia, nonostante resti la più lenta d’Europa, è tornata a crescere.

Gli anni della crisi finanziaria sono ormai alle spalle e c’è addirittura chi – come Confindustria – si azzarda a fissare già al 2021, praticamente dopodomani, la fatidica data nella quale il Pil, cioè la ricchezza prodotta nel nostro Paese, tornerà ai livelli precedenti alla crisi. Ciò che invece non accenna ancora a tornare ai livelli pre-crisi è il tasso di occupazione giovanile, specialmente in alcune zone del Paese.

Alcuni analisti non esitano a descrivere questa come una “generazione perduta”. Incapace di costruirsi una famiglia, una casa e un futuro negli anni terribili.

A mancare è il lavoro, che specie in alcune regioni sembra divenuto un miraggio.

Dal 26 al 29 ottobre, a Cagliari, si è svolta la 48esima edizione della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani.
Questo appuntamento, “inventato” nel 1907 dal beato Toniolo, da oltre un secolo rappresenta l’opportunità per i cattolici di riflettere su questioni concrete e offrire al Paese soluzioni altrettanto “tangibili”.

Tema di questa edizione “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale”, slogan preso in prestito dall’Evangelii Gaudium di Papa Francesco.

Nutrita la presenza dei giovani, sia tra i quasi mille delegati da oltre duecento diocesi italiane, sia tra i temi di discussione nei tavoli, come soluzione e non come problema. Nel comitato promotore e organizzatore, presieduto da mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, c’era anche suor Alessandra Smerilli, religiosa salesiana, economista e docente stabile alla Pontificia Facoltà di scienze dell’educazione “Auxilium”.

«In particolare al Sud, la disoccupazione giovanile in Italia è un problema molto grave – racconta Smerilli – anche di fronte ai miglioramenti dell’economia, i giovani stanno facendo ancora tanta fatica a trovare un lavoro, e un lavoro dignitoso, nel quale possano spendere le loro competenze. C’è sì la ripresa, ma ci sono anche tanti che si scoraggiano. Un dato da non sottovalutare è quello del “gender gap”, che mostra quanto sia elevata la disoccupazione femminile rispetto agli altri Paesi europei».

Si tratta di un fenomeno in evoluzione: «Non so quanta sia la rassegnazione di fronte a questo fenomeno e quanta voglia invece ci sia di affrontarlo. Il fatto che molti se ne vadano all’estero non aiuta a dar loro una voce abbastanza forte in Italia affinché la politica metta in atto quelle azioni che possano aiutarli».

La Settimana Sociale dedicata al lavoro è figlia del Convegno Ecclesiale di Firenze, che indicava la via dell’“umanesimo di concretezza”: «Se volevamo confrontarci con la realtà, dovevamo per forza partire se non parlando e agendo sul lavoro».

La scelta, da parte di un comitato che annovera molti docenti universitari ed esperti, è stata quella di partire dalle storie: «Se non si cominciava da lì, sarebbe stato difficile arrivare a proposte ancorate alla realtà. Non ci bastavano i dati, abbiamo scelto di guardare alla concretezza delle persone, ai loro volti e alle loro storie, per una denuncia che dai problemi ci aiutasse a recuperare le soluzioni».

Da qui, l’analisi, attraverso i “Cercatori di LavOro”, di oltre cinquecento buone pratiche da nord a sud, dai centri alle periferie. Tantissime di queste storie avevano i giovani al centro, o perché capaci di impiegare molta forza lavoro giovane, o perché create direttamente dall’inventiva e dalle capacità delle nuove generazioni.

«Pur in uno scenario decisamente più complicato per i giovani rispetto a venti o trent’anni fa, i giovani che abbiamo incontrato non erano scoraggiati. Non so se sia positivo o meno, ma hanno smesso di aspettarsi qualcosa da noi adulti e si sono rimboccati le maniche. Non sono più i giovani che attendevano il posto fisso, sperando di “sistemarsi”: il lavoro ormai se lo devono creare, e non più solo cercare».

La perdita di sicurezze ha creato in loro nuove capacità: «Hanno imparato l’arte della resilienza. Non hanno bisogno della nostra pietà, ma che si faccia un po’ di spazio. Servono le condizioni perché la loro creatività e le loro competenze, durante questa fase di profondo cambiamento tecnologico, possano rivelarsi fondamentali».

A Cagliari si è parlato tanto di giustizia intergenerazionale, specie attraverso le parole di Mauro Magatti, componente del comitato promotore e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che rimarcava come la ricchezza, nel nostro Paese, resti ferma tra le mani prevalentemente dei cinquantenni e dei sessantenni, mentre i giovani – che ne avrebbero bisogno per creare lavoro e impresa – ne siano esclusi, anche per la morsa del credito.

«Come adulti – prosegue suor Alessandra Smerilli – abbiamo tanti debiti nei confronti dei giovani e quasi nessun credito. Ci vuole uno scatto di responsabilità».

Tra le sette proposte uscite dalle Settimane Sociali – quattro al governo  italiano e tre alle istituzioni europee – vi è la possibilità di estendere i piani di risparmio individuale anche alle piccole e medie imprese non quotate in borsa (attualmente una piccolissima minoranza), per far arrivare così risorse alle realtàche creano lavoro – e lavoro degno – ai giovani dei nostri territori.

Ora tocca alle diocesi far camminare le proposte: «Occorre studiare la realtà per mettere insieme le forze. Abbiamo proposto degli “sportelli” nei territori che non siano uffici di collocamento, ma di accompagnamento, per aiutare quei giovani con un’idea che non sanno ancora come realizzarla. Si potrebbe così far conoscere anche le imprese che creano buon lavoro perché le comunità possano sostenerle».

Da qui può partire un nuovo modo di intendere il lavoro, che saranno i giovani ad applicare: «Il lavoro deve essere espressione e realizzazione della persona umana, dignitoso, che esprima potenzialità e capacità, permettendoci di relazionarci con gli altri, dandoci tempo per la cura dentro e fuori la famiglia». Le sfide delle nuove tecnologie, della robotica, dell’automazione e persino delle intelligenze artificiali, se affrontate per essere messe al servizio della persona e non solo per massimizzare il profitto, potranno rappresentare un ulteriore passo avanti, dando più tempo appunto per la cura e l’umanizzazione». 

L’entusiasmo c’è, ma è un’emozione lucida: «Da Cagliari ci portiamo via l’immagine di una Chiesa che ha a cuore i giovani, le persone ferite per la mancanza o la perdita di lavoro. Non dobbiamo far spegnere il fuoco che a Cagliari si è acceso. Ed è responsabilità di tutti far sì che il lavoro resti al centro della nostra riflessione».

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