Pfas, è allarme per gli allevatori. Greenpeace e Regione ai ferri corti

Le ultime analisi confermano concentrazioni di Pfas nel sangue doppie rispetto ai cittadini esposti dell’“area rossa”. Numeri che arrivano a pochi giorni dal rapporto “Non ce la beviamo” di Greenpeace, che ha condotto prelievi in scuole e fontane pubbliche del territorio.

Pfas, è allarme per gli allevatori. Greenpeace e Regione ai ferri corti

L’ultima, preoccupante, notizia sul caso di inquinamento di falda che dal 2013 tiene con il fiato sospeso 300 mila veneti residenti tra le province di Vicenza, Verona e Padova, arriva direttamente dall’Istituto superiore di sanità.
Destinatari, il presidente del consiglio regionale, i direttori generali delle Ulss 6 Euganea, 8 Berica e 9 Scaligera, oltre al procuratore generale di Vicenza, Antonino Cappelleri, che indaga sulla vicenda.

Lo studio sugli allevatori
I dati provengono dall’ampio biomonitoraggio avviato dall’Iss nel 2015 in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità, la cui prima parte (sulla popolazione esposta e non esposta) era stata presentata a palazzo Balbi nell’aprile del 2016.
Dai valori resi noti la scorsa settimana emerge come i lavoratori o residenti in aziende agricole o zootecniche dei 21 comuni dell’epicentro dei Pfas hanno valori secondi solo a quelli dei dipendenti Miteni, l’azienda di Trissino indicata da Arpav come responsabile del 97 per cento dei perfluori sversati nelle acque dagli anni ’60.

E lo studio conferma ancora una volta come sia l’acqua potabile il principale vettore della contaminazione.

La decisione delle autorità sanitarie di dedicare una ricerca a sé a 122 uomini e donne impegnati nell’allevamento deriva infatti dall’utilizzo da parte di questi ultimi di risorse idriche provenienti da pozzi privati, nei quali in rari casi sono stati installati filtri a carboni attivi.

I prelievi su questa popolazioni – tutti effettuati tra il 2015 e il 2016 – sono posteriori alla “bonifica” dell’acquedotto grazie proprio ai costosissimi filtri.
Ma ci troviamo di fronte a concentrazioni che hanno spinto la regione a inserire questi cittadini immediatamente nello screening decennale partito a inizio anno in “zona rossa” e da maggio anche nel Veronese e a Noventa Vicentina.
Solo per rimanere ai più pericolosi Pfoa e Pfos, se i cittadini di aree non contaminate presentano una media di 1,89 nanogrammi per grammo di sangue e gli abitanti della “zona rossa” (21 comuni) 61, per gli allevatori parliamo di ben 111 nanogrammi. Lo stesso vale per il Pfos (8 nanogrammi di media per i non esposti, 11 per i contaminati, 16 per gli operatori agricoli).

Il territorio con i picchi più alti è quello Vicentino.
Per ogni grammo di sangue di un 22enne residente a Sarego, ci sono 591 nanogrammi di Pfoa e 46 di Pfos, valori analoghi a quelli di un 33enne di Cologna Veneta (Vr).

L’allarme di Greenpeace
Numeri che arrivano a pochi giorni dal rapporto “Non ce la beviamo” di Greenpeace.

L’ong ambientalista, ha condotto prelievi in 18 scuole primarie e sette fontanelle pubbliche nelle province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo con risultati preoccupanti.

Anzitutto perché nel 100 per cento dei campioni è emersa la presenza dei temuti acidi perfluoroalchilici, e poi perché solo sulla sommità dei colli Euganei, a Lozzo Atestino, la concentrazione si può considerare “di traccia” con 3 nanogrammi per litro d’acqua. All’estremo opposto, a Roveredo di Guà, il dato è stato di 396 nanogrammi.
Con la sorpresa di 47 nanogrammi nelle acque della città di Padova e la scoperta dello Pfosa a Vicenza, composto che non compare tra le sostanza ricercate nelle analisi condotte da Arpav al momento, per il quale in Danimarca esistono limiti di legge.
Si tratta di valori comunque al di sotto dei limiti di performance individuati nel 2014 dall’Iss e fatti propri dalla regione Veneto (530 nanogrammi per la somma dei Pfas) e in molti casi rispettosi anche dei più restrittivi Usa (70) e Svezia (90). Valori frutto di prelievi singoli, che andrebbero confermati con altre analisi, come insegna l’episodio di febbraio a Verona, dove l’allarme Pfas è scattato in seguito allo scarico di detersivi di un lavaggio di tappeti.

Tuttavia, dimostrano la natura ubiquitaria di questa contaminazione, di cui la Miteni di Trissino non è che la principale fonte, i cui effetti per Greenpeace, riguardano non 300 mila, bensì 800 mila veneti.

«La soluzione è la riconversione industriale – ha spiegato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna – La decisione di Goretex e Valentino di liberare da Pfas la loro filiera produttiva, indotto compreso, insegna che non siamo di fronte a prodotti insostituibili».

Molto dura la reazione della regione che con l’assessore all’ambiente Giampaolo Bottacin ha messo in dubbio la scientificità del report di Greenpeace e per bocca dell’assessore alla sanità Luca Coletto ha minacciato di ricorrere alle vie legali contro l’organizzazione per procurato allarme.

Nuove infrastrutture
Nel clima infuocato di questi giorni, non si tirano indietro i cittadini e i comitati. Si susseguono gli incontri sul territorio e le manifestazioni, come la “Marcia dei Pfiori”, di domenica 14 maggio, tra Montecchio Maggiore e Trissino, organizzata dal coordinamento Acque libere dai Pfas con Legambiente.

Tra le richieste dei residenti scesi in piazza c’è anzitutto l’approvvigionamento idrico da fonti sicure e alternative.
Un tema questo messo al centro anche di un incontro pubblico a Lonigo durante il quale la senatrice Laura Puppato ha illustrato la relazione sui Pfas della commissione “ecoreati” del Senato di cui è membro.
Puppato ha sottolineato l’esigenza di un progetto comune per nuovi acquedotti e che la Regione si faccia punto di sintesi e coordinamento: è questa la condizione necessaria a sbloccare gli 80 milioni di euro stanziati allo scopo ma ancora fermi al Cipe.
Il sindaco di Lonigo Luca Restello ha confermato la necessità degli interventi: in città, al momento di sostituire i filtri a carboni attivi, dopo cinque mesi, l’acqua pubblica misura 460 nanogrammi di Pfas per litro: poco entro i limiti. Ha chiuso Cristina Guarda, consigliere regionale di opposizione, spiegando che Veneto Acque è al lavoro su un progetto che prevede acquedotti in zona proveniente da Verona est e da Carmignano del Brenta.
Ma parliamo di lavori per cinque anni. Nel frattempo l’allerta continua.

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