Pfas nell'acqua, lo scaricabarile tra governo e regione

La contaminazione della falda acquifera dell’Ovest vicentino continua. I Pfas – sostanze perfluoroalchiliche dalle mille applicazioni tra cui i tessuti impermeabili, le pentole antiaderenti e gli stent coronarici – continuano a rimanere al centro dell’attenzione. E tra ministero dell'ambiente e regione Veneto parte lo scaricabarile tra chi sapeva e non è intervenuto. Intanto la Miteni apre le porte ai cittadini e tuona contro i nuovi limiti rigidissimi.

Pfas nell'acqua, lo scaricabarile tra governo e regione

Sul banco degli imputati da qualche giorno c’è il famigerato “tubone” Arica, la condotta sotterranea gestita dall’omonimo consorzio che scarica nel torrente Fratta-Gorzone, all’altezza di Cologna Veneta, le acque provenienti dai cinque depuratori di Trissino, Arzignano, Montecchio Maggiore, Lonigo e Montebello.
Ebbene, è attorno al tubo che si sta consumando l’ultimo balletto di responsabilità tra regione Veneto e ministero dell’ambiente. In una missiva datata 21 luglio, infatti, la direttrice del dipartimento di tutela ambientale del ministero, Gaia Checcucci, ha scritto senza dubbi di interpretazione che il consorzio Arica deve rispettare «fin da subito» i limiti di performance individuati dall’Istituto superiore di sanità.
L’acqua del tubone, almeno per quanto riguarda i Pfas, dev’essere trattata dunque al pari dell’acqua potabile, e senza attendere il 30 giugno 2020, come previsto a metà luglio da palazzo Balbi.

Una prescrizione che ha mandato su tutte le furie l’amministratore delegato di Miteni spa, Antonio Nardone.
«Così ci fanno chiudere», ha tuonato il dirigente dell’azienda indicata tre anni fa dall’Arpav come responsabile della contaminazione, che proprio negli stessi giorni organizzava un “porte aperte” per risollevare l’immagine dell’unica produttrice di perfluori del Veneto.
«Il Tar avrà un bel po’ di lavoro nelle prossime settimane», ha minacciato Nardone dopo aver illustrato alla stampa gli impianti di produzione di Pfas a catena corta e le due barriere idrauliche che dovrebbero impedire la loro dispersione in ambiente: una di otto pozzi, realizzata nel 2013 allo scoppio del caso, e una in fase di conclusione, del valore di 1,5 milioni di euro, prescritta dall’Arpav.
Perché una posizione così dura? La linea ufficiale dice di «un Veneto che non può mettere a rischio il suo comparto produttivo e accettare di essere l’unica regione in Europa a cui viene imposto un limite di 500 nanogrammi di Pfas a catena corta in ogni litro d’acqua». Ma non c’è solo questa verità.

L'eredità di decenni di scarichi senza limiti
Se oggi a Miteni vengono imposti limiti di scarico pressoché pari a zero – che lo stesso presidente della provincia di Vicenza Achille Variati ha definito «non realistici» – è impressionante constatare come fino a ieri alla spa nata dal gruppo Marzotto negli anni ’60 fosse concesso di scaricare nel depuratore di Trissino fino a 10 mila nanogrammi di Pfoa, mille di Pfos, 50 mila di Pfhxa e livelli di concentrazione medi non superiori all’anno precedente dei composti a catena corta.
Quantità enormi di fluoruri – riportate in un documento ufficiale di fine giugno di Alto vicentino servizi, la municipalizzata di cui fa parte il depuratore di Trissino – che hanno costretto i gestori del servizio idrico integrato a spendere milioni di euro in filtri a carboni attivi.

Dallo scaricabarile tra regione e ministero tuttavia non emerge la risposta a una domanda cruciale.
Nardone, durante la visita all’azienda, ha infatti confermato la collaborazione di Miteni spa con i ministeri dell’ambiente e della salute tedesco e italiano fin dal 1998. Nel 2008, in particolare, ha presentato all’Istituto superiore di sanità un’indagine sulla persistenza nell’organismo dei Pfas. Allora, se ministero e Iss sapevano, perché abbiamo dovuto attendere lo studio del Cnr del 2013 per scoprire che l’acqua del secondo più grande bacino acquifero d’Europa è contaminata da decenni?

Tra pozzi chiusi e acquedotti rifatti

Sarego, con Brendola e Lonigo, è uno dei tre comuni i cui cittadini portano nel sangue la maggior concentrazione di Pfas.
È qui che si sono concentrati finora gli sforzi maggiori per rendere potabile l’acqua, il fattore principale di contaminazione. «Solo da noi Centro veneto servizi ha speso finora oltre due milioni di euro», spiega il sindaco Roberto Castiglion, M5s. Nel comune vicentino si è presa la decisione di chiudere il pozzo di Monticello, la cui acqua riportava i valori di perfluori più alti, e di estendere la rete idrica che fa capo al pozzo di Meledo a tutto il territorio comunale.
Da Cvs, nei mesi scorsi, è partito anche un esposto alla procura della repubblica in cui Miteni spa viene citata per danni. Oltre a Sarego infatti l’ambito di pertinenza della municipalizzata vede la presenza di Pfas anche nei comuni di Agugliaro, Alonte, Asigliano, Campiglia dei Berici, parte di Megliadino San Fidenzio, Montagnana, parte di Orgiano, Pojana Maggiore e parte di Urbana.

Tumori: nell’“area pfas” dati «tranquillizzanti». Ma crescono altre malattie

Sono «dati tranquillizzanti» – parola del direttore scientifico Massimo Rugge – quelli che ha diramato a fine luglio il Registro tumori del Veneto (Rtv) dopo un’analisi oncologica condotta sull’Ulss 5 e sulla parte meridionale della 6 Vicentino e in particolare sull’«area rossa» dei Pfas.
Numeri che riguardano l’incidenza di nuovi tumori nelle zone considerate all’anno 2013, l’ultimo a disposizione, e che evidenziano come i dati siano statisticamente in linea con quelli dell’Ulss 16 di Padova nello stesso anno e di tutta l’area coperta dal Rtv nel 2008-2009.
Nel dettaglio, nelle Ulss 5 e 6 sud (per una popolazione pari a 220 mila persone) si contano 1.223 nuove neoplasie, 687 delle quali a carico degli uomini e 536 delle donne. Tra tutti i parametri considerati solo il tumore maschile alla prostata appare sensibilmente più presente nell’area studiata, ma questa patologia – lo ha spiegato chiaramente l’epidemiologo dei tumori Manuel Zorzi – è presente in una grande parte degli uomini, quiescente nella vecchiaia, e viene facilmente individuato in virtù della diffusione dell’esame del Psa.
Il Registro ha poi analizzato i casi di tumore al rene e al testicolo, i due che la letteratura associa alla presenza di Pfas nell’organismo, nei 45 mila residenti dei sette comuni più esposti nel quadriennio 2010-2013: ma anche in questo caso le percentuali non si discostano dal resto della popolazione. Anzi, nel caso del tumore al rene, l’incidenza è addirittura inferiore.
L’oggettiva positività di questi dati, viene però controbilanciata dal fatto che le due Ulss interessate sono entrate solo ora nel Rtv. Non è data dunque la possibilità di misurare nel tempo l’andamento dell’incidenza dei casi.

Meno tranquillizzanti si sono rivelati invece i dati pubblicati dal Sistema epidemiologico regionale.
Il dottor Mario Saugo ha ammesso che l’ipotiroidismo e l’eccesso di colesterolo nel sangue, fenomeni legati ai perfluori, sono stati effettivamente registrati nelle Ulss esposte alla contaminazione.
«Pur trattandosi di fenomeni le cui cause sono difficili da stabilire, perché spesso legate all’alimentazione e allo stile di vita, continueremo l’analisi di questi parametri durante la campagna di presa in carico della popolazione».
Una campagna che potrebbe diventare «la più grande mai fatta al mondo» come annunciato dalla dottoressa Francesca Russo della direzione sanitaria regionale. Più grande ancora rispetto a quella messa in atto in Ohio dopo lo scandalo Dupont divenuto famoso grazie al film Erin Brockovich con Giulia Roberts.

Da novembre scatteranno gli inviti per 85 mila veneti tra i 15 e i 64 anni: per loro è prevista una serie di esami che potrebbero portare a ulteriori approfondimenti.
Nel frattempo, la struttura tecnica regionale è al lavoro con l’Istituto superiore di sanità per approntare il biomonitoraggio sulla catena alimentare che dovrebbe entrare nel vivo sempre in autunno.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: miteni (6), falda (3), pfas (11), inquinamento (41)