Sarà la "tecnocrazia" a salvare l'Europa?

Leadership populiste, autonomie regionali, disaffezione e astensionismo sono alcuni "indicatori d'allarme" di un sistema democratico entrato in crisi. Esiste un reale futuro per la democrazia? In un dibattito organizzato da Confindustria si cercano risposte e nuovi modelli "ibridi". 

Sarà la "tecnocrazia" a salvare l'Europa?

Inettitudine politica, libertà confusa con la licenza di poter fare (quasi) tutto, demagogia dell'uguaglianza che rende impraticabile qualsiasi selezione, favoritismi. Malattie di un sistema democratico che Platone teorizzava ne La Repubblica, opera filosofica che avuto un'enorme influenza nel pensiero occidentale. E che proprio all'interno dei governi democratici di oggi trova, a distanza di oltre 2300 anni, gli stessi vizi. È un momento storico segnato da nuovi dis-equilibri geopolitici, economici e sociali che portano, lecitamente, a pensare: «qual è il futuro della democrazia?». Alcune risposte, seppur non con la pretesa di essere assolute, sono state formulate negli spazi di PadovaFiere, mercoledì 29 novembre, all'interno di un confronto pubblico organizzato da Confindustria Padova e Unindustria Treviso.

Analisi che vanno ponderate sullo sfondo di uno scenario incerto che in un anno ha visto esiti elettorali per certi versi imprevedibili: dall'avvento di Trump alla Brexit, passando per il referendum per l'indipendenza in Catalogna. Eventi che hanno marcato una rottura e che rafforzano la teoria di Parag Khanna, analista internazionale ed ex consigliere di Barack Obama, che ha aperto il dibattito recuperando la lezione di Platone, per il quale una polis efficiente si basa su due pilastri: una cittadinanza istruita e una classe dirigente saggia. Un modello che teorizza nella cosiddetta “tecnocrazia diretta”: «La tecnocrazia diretta è una forma di governo capace di dare risposte immediate e – spiega Khanna – non è un'alternativa alla democrazia, ma un completamento. Bisogna guardare a ciò che funziona altrove, imparare dalla Svizzera o da Singapore». Un modello ibrido «noioso, ma efficiente» tra una democrazia popolare e una tecnocrazia strategica: dati alla mano, queste antitetiche forme di governo hanno portato i due stati a primeggiare per qualità della vita, credibilità governativa, innovazione e infrastrutture.

L'oggi, però, porta in un'Europa dove riaffiorano autonomie regionali e leadership populiste, dove nuove paure e sfiducia mettono in discussione il tradizionale modello di democrazia liberale. Disaffezione e astensionismo sono i primi “campanelli d'allarme” di un sistema entrato in crisi anche a causa di strategie impari. È quanto sostiene il giornalista e politologo Ernesto Galli della Loggia: «Stiamo assistendo a una globalizzazione del mercato delle merci e non dei diritti. I governi democratici non possono competere con altre forme più autoritarie, perché noi stessi ci siamo posti vincoli come quelli del rispetto del mercato del lavoro o del welfare. Lo svantaggio politico diventa così uno svantaggio economico: se in Cina gli operai potessero organizzarsi sindacalmente all'interno di un suffragio universale, forse le performance stesse cambierebbero».

La tecnologia, soprattutto digitale, ha esteso il concetto di agorà con il nobile intento di allargare le trame della partecipazione, eppure tra i malanni diagnosticati, per il professore e presidente della Cassa di risparmio del Veneto Gilberto Muraro, esiste il concreto rischio che si possa passare da cittadini a naufraghi della rete:

«Come ogni innovazione ci sono lati oscuri. Ricordiamoci che i drammi politici del Novecento, le grandi dittature, hanno dimostrato i pericoli della psicologia di massa e la rete può eccitare questi fenomeni degenerativi. Soprattutto essa modifica la soggettività, dà l'idea alle persone di essere informate e crea arroganza. Tutto questo mina il meccanismo della delega e nel credere in valori di apertura democratica».

Esiste, allora, un futuro per la democrazia? A Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, la riflessione conclusiva: «La democrazia è sempre un cantiere aperto, non esiste quella perfetta ed è una creatura giovane che per incuria della stessa politica è sotto minaccia. Mi rivolgo agli imprenditori: abbiamo bisogno di un mondo economico che non esclude, ma include. Un'economia che esercita più possibile la partecipazione, la collaborazione e la massa critica è il fondamento di una democrazia».

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