Seduti sul vulcano. Ma siamo preparati

La tragedia dei Campi Flegrei riporta d’attualità il tema della sicurezza nelle aree più a rischio dell’Italia, a partire proprio dal Vesuvio. Un problema di procedure d’emergenza, ma anche di rispetto del territorio e di precisa consapevolezza dei pericoli che corriamo. L'analisi di Andrea Marzoli, vulcanologo dell'università di Padova.

Seduti sul vulcano. Ma siamo preparati

La tragedia capitata nella solfatara dei Campi Flegrei sul finire dell’estate, dove padre, madre e figlio sono precipitati nel sottosuolo e quindi morti asfissiati, ha suscitato forte emozione e qualche interrogativo.
Per Andrea Marzoli, vulcanologo all’università di Padova, «quello che è successo alla solfatara è una disgrazia. Lì ci sono alte temperature, non c’è attività magmatica, perché la troviamo in profondità, ma la buca era piena di gas, quindi tossica».

In Italia ci sono situazioni preoccupanti?
«Tutta la zona dei campi Flegrei, a nord di Napoli, dove abitano centinaia di migliaia di persone, è una zona vulcanologicamente attiva. Lì c’è magma che potrebbe eruttare. Le ultime eruzioni importanti risalgono a 15 mila anni fa, e l’ultima avvenuta in zona è del 1538. Di fatto però tutta quella zona è vulcanica e le persone vivono all'interno di un cratere vulcanico. La stessa cosa si può dire di Ischia, dove l’ultima eruzione risale ad alcuni secoli fa, ma l’isola rimane vulcanicamente pericolosa. Il terremoto dello scorso agosto non è direttamente collegato, ma è probabile ci sia in atto uno spostamento di magma in profondità. Nei Campi Flegrei è l’aumento delle fumarole che segnala la presenza di magma attivo il che potrebbe indicare un’eruzione relativamente prossima. In questo momento c’è un livello di rischio abbastanza alto».

Quali sono i vulcani attivi nel nostro paese?
«I vulcani italiani attivi si trovano in Campania e Sicilia. Anche nei colli Albani sono attivi, ma non si prevede un’eruzione a breve. L’Etna è meno pericoloso perché la lava qui scorre a velocità modesta e se ci fosse una colata importante la popolazione sarebbe in grado di mettersi in salvo. Ci sarebbero danni economici, certamente, ma non vittime. Stromboli è moderatamente pericoloso e poi c’è Vulcano, l’isola che convive con il suo vulcano, dove l’eruzione è di tipo esplosivo con potenziali danni alle persone. In questo momento i più pericolosi sono i Campi Flegrei e Vulcano, poi Vesuvio e Ischia, mentre Pantelleria, Linosa e i “vulcanetti" sottomarini presentano un rischio limitato».

Siamo preparati ad affrontare un’emergenza, oppure conviviamo col rischio e ci affidiamo alla buona sorte?
«L’attenzione è molto cresciuta da parte della protezione civile e delle autorità politiche. Il controllo e il monitoraggio dell’attività è aumentato tantissimo negli ultimi dieci anni e sappiamo cosa succede in profondità. 

Il vero problema delle zone densamente popolate è capire come e quando evacuare la popolazione. Mi spiego: noi lanciamo l’allarme, ma può passare molto tempo, anche un anno, prima che l’evento si verifichi, quindi capire la tempistica è fondamentale per proteggere la popolazione. Inoltre esiste una fortissima incuria nella gestione del territorio e questo crea evidenti difficoltà.

Dove si sono verificate le ultime colate del Vesuvio nel 1944, oggi ci sono migliaia di abitazioni: sono tutte case destinate a essere risommerse dalla lava se il vulcano dovesse risvegliarsi. Nei Campi Flegrei la popolazione ha una conoscenza limitata del rischio perché non è così evidente che quella sia una zona vulcanica, e quindi non c’è percezione del pericolo da parte di tutti».

Qual è la nostra capacità di intervento in emergenza rispetto ad altri paesi?
«Abbastanza preparati. Il top è il Giappone, ma rispetto ad altri paesi abbiamo elaborato un piano di evacuazione e della valutazione dei rischi. Se l’emergenza succede dove vive mezzo milione di persone e la popolazione collabora, non ci saranno vittime ma solo danni economici. La popolazione deve avere fiducia nei tecnici».

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