Umberto Curi e il referendum: «Solo inutile, e costosa, propaganda»

Il filosofo padovano è tra le voci più critiche in vista del voto del 22 ottobre: «Pronunciarsi sul referendum non vuol dire esprimere la propria posizione sul tema dell’autonomia del Veneto. Vuol dire invece manifestare la propria valutazione sul referendum in quanto tale, su ciò che esso significa e sulle sue implicazioni politiche generali. Si può essere – come io stesso sono – favorevoli all’autonomia senza che questa posizione implichi l’andare a votare, e votare sì, in occasione della consultazione del 22 ottobre».

Umberto Curi e il referendum: «Solo inutile, e costosa, propaganda»

Il filosofo Umberto Curi è una delle voci più autorevoli che si sono espresse in questo periodo in favore dell’astensione.

Una scelta che nasce dalla convinzione che, ai fini del conseguimento dell’autonomia, «il referendum è perfettamente inutile. Da un lato, infatti, quale che ne sia l’esito, gli effetti giuridici saranno nulli, visto che si tratta di un referendum meramente consultivo, che non può perciò né abrogare né introdurre alcuna nuova norma. Dall’altro lato, anche se Zaia si è vanamente sforzato di occultare questa circostanza, quanto è già previsto dall’articolo 116 della Costituzione consentirebbe di avviare col governo centrale una trattativa mirata a ottenere nuove e più incisive forme di autonomia. Ne consegue che – ma ormai la cosa può dirsi ampiamente assodata – si poteva tranquillamente evitare di dilapidare risorse non trascurabili solo allo scopo di offrire al governatore del Veneto uno strumento in più di pressione sul governo centrale. Tutto ciò per dire, insomma, che si può essere contemporaneamente favorevoli all’autonomia e del tutto contrari al referendum».

L’analisi di Curi lavora in profondità e sottolinea altre questioni, «sintomaticamente assenti dal dibattito in corso», a partire da quelle riguardanti il concetto stesso di autonomia, le regole che essa implica, l’assunzione di responsabilità da parte della burocrazia e del ceto politico.
«Anche a seguito di una propaganda sfacciatamente tendenziosa, si è diffusa la falsa e aberrante convinzione che essa coincida semplicemente con la disponibilità di maggiori risorse, nella forma di più cospicui trasferimenti e di tangibili esenzioni. Autonomia vorrebbe dire, insomma, godere di privilegi e vantaggi, finora assicurati soltanto alle regioni a statuto speciale. Nulla di più sbagliato. Ciò che si sta fraudolentemente nascondendo ai veneti è che l’autonomia implica livelli di responsabilità molto più elevati, in quanto presuppone la capacità del ceto burocratico-amministrativo regionale di gestire al meglio le risorse disponibili. Anche alla luce di alcuni scandali recenti, quali ad esempio il Mose, davvero si può contare sulla presenza di un ceto politico all’altezza di compiti di maggiore responsabilità?».

Non solo. Per il filosofo è la cultura che sostiene questo modello che va sconfitta:

«Sotto il profilo della cultura diffusa, della sensibilità delle persone, di tutto vi è bisogno nel Veneto salvo che di ulteriori incentivi a una visione egoistica e utilitaristica. L’enfasi sulla rivendicazione dell’autonomia funziona obiettivamente come ulteriore incentivo a consolidare una mentalità chiusa nella tutela dei propri interessi materiali. Francamente, non se ne avverte il bisogno. Mentre una visione maggiormente ispirata alla solidarietà è ciò di cui si sente più concretamente la mancanza».

Una posizione, quella di chi sostiene l'astensione, che di fatto ha sostituito nel dibattito pubblico il fronte del no, visto che il referendum per essere valido deve superare il quorum del 50 per cento.
Accanto alle due forze politiche di sinistra più strutturate in regione, ovvero Rifondazione comunista e gli ex Pd confluiti nel Movimento democratici e progressisti (Mdp), sono altri due i soggetti che hanno costituito un comitato presente anche nella campagna elettorale televisiva: Veneti per l’astensione e il comitato Riscossa civica contro il referendum farlocco.

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