Veneti minoranza? Un grimaldello per l'autonomia

Il Consiglio regionale ha detto sì a stretta maggioranza a una legge che individua nel popolo veneto una minoranza nazionale. Il dialetto può così entrare nelle scuole e negli edifici pubblici. Ma rimane il dubbio sulla costituzionalità di questa norma. Sullo sfondo, il referendum sull'autonomia.

Veneti minoranza? Un grimaldello per l'autonomia

Alla stregua dei sudtirolesi. Ora anche i Veneti pretendono di essere una minoranza nazionale dello stato italiano.
Un nuovo tassello che si aggiunge nel processo di graduale ricerca di identità che serpeggia tra la politica regionale. Un processo segnato dalla spallata al referendum costituzionale da poco bocciato, dallo stop alla riforma della pubblica amministrazione del ministro Madia, dalla volontà di arrivare al referendum sull’autonomia previsto per la prossima primavera.

Il disegno di legge 116 sui “Veneti minoranza nazionale” o sul bilinguismo è passato il 6 dicembre con 27 voti a favore, 16 contrari e 5 astenuti.
Questi ultimi costituiti dai consiglieri di Forza Italia e Fratelli d’Italia, più l’alfaniano Marino Zorzato.
Un iter non proprio semplice, lungo un percorso sconnesso, segnato, la settimana precedente, da uno scivolone della stessa maggioranza dopo lo scontro tra il capogruppo della Lega, Nicola Finco, e l’assessore Elena Donazzan.
Ma segnato, pure, da un parziale snaturamento del progetto di legge originale approdato nell’aula, proposto da quattro comuni: Grantorto, Segusino, Santa Lucia di Piave e Resana, con il sostegno dell'Istituto della lingua veneta, che vede tra i responsabili uno degli padri del “venetismo”, Franco Rocchetta.

È stato infatti eliminato il patentino di bilinguismo veneto-italiano che avrebbe dovuto rilasciare l’Istituto della lingua veneta. Al suo posto sarà la giunta regionale a valutare quali associazioni avranno il compito di raccogliere le iscrizioni all’“Albo della minoranza”. Con quale obiettivo? L’applicazione, in regione, della convenzione-quadro europea varata dal Consiglio d'Europa e ratificata dall’Italia nel 1997 per la tutela delle minoranze.

La legge prevede, inoltre, che le scuole presentino un’offerta formativa per lo studio del dialetto.
I nuovi funzionari pubblici dovranno sostenere anche un esame che dimostri la conoscenza della lingua veneta per potersi garantire il posto di lavoro. E uno spazio è poi riservato alla toponomastica che verrà arricchita con i nomi storici delle località.

Esulta la maggioranza che vede, in questa legge, il grimaldello per aprire la porta alla richiesta di diritti e di risorse finanziarie pari a quelle che lo stato riconosce alle regioni a statuto speciale confinanti con la nostra. Una via, insomma, alla tanto invocata autonomia. Anche se la strada, a quanto pare, sembra ancora lunga.

Dall’altra parte della barricata, sventolando anche la bandiera della possibile incostituzionalità della nuova norma, l’opposizione in consiglio regionale ha tuonato contro un tentativo di umiliazione nei confronti dei Veneti che non sono una minoranza.
Resta, comunque, sullo sfondo un dubbio, dettato anzitutto dalla difficoltà di individuare quale lingua veneta considerare, in un territorio segnato da numerosi dialetti, da espressioni diverse per dire la stessa cosa anche all’interno della stessa provincia.
E il rischio, infine, di relegare a questioni meramente identitarie o toponomastiche problemi ben più seri legati al rapporto stato-regione.

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