Zaia e il referendum. «Cosa chiederemo? Tutte le competenze»

Intervista al presidente della regione: «Il giorno dopo, chiederemo di poter esercitare tutte le competenze possibili secondo la Costituzione. Il nostro referendum non è una proposta contro il centrosinistra. Anzi, se il centrodestra andrà al governo non cambieremo una virgola. E voglio vedere come diranno no al Veneto».

Zaia e il referendum. «Cosa chiederemo? Tutte le competenze»

«Guardate il timing. Dopo il referendum catalano, l’Europa non sarà più la stessa. E il 22 ottobre avremo gli occhi del mondo addosso».

Su questo, Luca Zaia non ha dubbi.
Ma anche dando per buona l’idea che «sarà una pagina di storia», sul valore del referendum e sugli scenari che si apriranno per il Veneto lunedì 23 ottobre gli interrogativi che ancora attendono una risposta precisa non mancano.
A partire, naturalmente, dalla sua valenza: visto che la Corte costituzionale non ha ammesso i quesiti relativi alle tasse o alla specialità regionale (non parliamo poi dell’indipendenza…), quel che rimane in piedi è un puro atto simbolico, utile alla Lega anche in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, o conserva una qualche forma di concretezza?

«Teniamo a mente innanzitutto che stiamo parlando di un referendum consultivo – sottolinea il governatore Zaia – e dunque non produrrà effetti concreti il giorno dopo. Ma la storia ci insegna che il valore e la forza di un popolo è molto più grande di quella di un qualsiasi governatore, per quanto bravo, che scende a Roma a trattare. E questo per un semplice fatto: se ci sarà una grande affluenza alle urne, chiunque si troverà seduto dall’altra parte del tavolo saprà che tra i votanti c’erano anche i suoi elettori. E questo cambia radicalmente le cose, tanto è vero che il governo non ci ha certo spianato la strada...».

Il giorno dopo il referendum, da dove inizierà la battaglia per una maggiore autonomia? Di nuovo dall’articolo 116 della costituzione e da una contrattazione col governo perché venga affidata al Veneto la competenza sulle materie che oggi sono “spartite” tra stato e regione?
«Io paragono il percorso autonomista a una stanza buia nella quale entriamo, senza sapere bene come muoverci. C’è chi pensa che il referendum sia una cosa inutile, io credo invece che sia come l’interruttore della luce: una volta accesa, potremo capire bene quali sono i pulsanti giusti da premere. In ogni caso, la nostra proposta “di minima” è già pronta: chiederemo di gestire tutte le 22 materie che oggi sono a competenza concorrente tra Roma e Venezia, utilizzando la procedura prevista dall’articolo 116 della costituzione».

Il governo si era già detto disponibile ad avviare la trattativa. Perché andare al referendum, invece di sedersi al tavolo?
«Perché quello del governo era un abbraccio mortale. La sentenza della corte costituzionale è feroce e sibillina. I giudici hanno scritto nero su bianco, nell’ammettere finalmente il referendum dopo due bocciature, che deve essere anteriore ed esterno alla trattativa. Ecco perché all’improvviso il governo ci ha fatto ponti dorati… aprire una trattativa era la strada più breve per cancellare il referendum. Io sono stato chiaro: “Se siete davvero così disponibili, non serve aprire un tavolo. Fate un decreto indicando quali competenze ci attribuite. Male che vada rifiuteremo”. Il ministro Costa ci ha risposto “Intanto iniziamo a testare qualche competenza”… ma scherziamo?».

Il Veneto va al referendum per chiedere maggiore autonomia, ma a livello nazionale continua a pesare pochissimo. Davvero è solo colpa degli altri?
«Solo i pessimisti non fanno fortuna. Ma se va in giro per l’Italia scopre che la gran parte della rete autostradale è in mano ai veneti, che il più grande produttore di occhiali è veneto, che i nostri 150 miliardi di pil hanno pochi eguali. Poi, certo, siamo in una parte periferica del paese, e vale sempre l’adagio che chi è vicino al sole si abbronza di più… Ma a maggior ragione questo referendum è un passaggio cruciale e nessuno di noi ha la percezione precisa di quale potere detonante avrà. Lo misureremo giorno dopo giorno».

Sul referendum siete riusciti a compattare tutte le principali forze del Consiglio regionale. C’è un pezzo di strada da fare assieme, anche con il centrosinistra veneto?
«Intanto diciamo con chiarezza che questo referendum non è mio o della Lega ma dei veneti. Io ho solo avuto la fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento storico giusto, ma il referendum è di tutti e a tutti dico col cuore di andare a votare, favorevoli o contrari che siano. La sensazione, guardando al centrosinistra, è che l’elettorato del Pd vota si, la dirigenza vota ni. Ma è un peccato. Io conosco un Pd autonomista, e sono sicuro che lo rivedremo in azione non appena il centrodestra andrà al governo… e tutto il giorno verrà a domandarci dove è finita l’autonomia».

Ecco, appunto. Se mai il centrodestra dovesse andare al governo…

«Chi pensa che il referendum serva per mettere in difficoltà il Pd, non ha capito niente. Chi oggi deve dormire sogni poco tranquilli è il centrodestra, perché è chiaro che in Veneto su questo tema ci si gioca il futuro. Anzi, i nostri leader li avviso già adesso: la proposta che faremo il giorno dopo varrà per qualsiasi governo dovesse arrivare. E se è vero che il centrodestra sul fronte delle riforme si è impegnato, è altrettanto vero che nei 16 anni di mancate deleghe alle regioni ci sono anche quelli col centrodestra al governo. Uomo avvisato, mezzo salvato».

Siamo alla fine. Ci resta l’ipotesi B: il referendum non raggiunge il quorum. Zaia cosa fa, si dimette?

«Non la sentirei come una mia sconfitta, perché questo è un referendum proposto in consiglio regionale ed è figlio di vent’anni di tentativi. Una cosa però è certa: se il risultato dell’affluenza non sarà soddisfacente, le carte dell’autonomia le chiudo in fondo a un cassetto».

Mettiamo l’asticella...

«Se uno su due non va a votare, non serve. Chi rappresenterei a Roma? Chi mi ha votato alle regionali?».

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