A Monselice i migranti fanno crescere la comunità

Nel vicariato di Monselice la micro-integrazione sta portando buoni frutti. Nell'ostello dei poveri di San Giacomo sono gli undici migranti a prendersi cura dei pellegrini, mentre nelle scuole superiori Cattaneo e Kennedy, due insegnanti africani sono saliti in cattedra a fianco dei loro colleghi italiani. Superate le diffidenze iniziali, la presenza dei migranti si è rivelata una grazia per le parrocchie del Duomo e di San Giacomo.

A Monselice i migranti fanno crescere la comunità

Accoglienza e integrazione dei migranti, in un clima in cui le diversità culturali e religiose si trasformano in un’occasione di crescita: non si tratta di un’utopia ma di una strada praticabile dalle comunità.
A dimostrarlo è il vicariato di Monselice, un esempio virtuoso in fatto di integrazione. Due progetti particolarmente significativi di cui le parrocchie del Duomo e di San Giacomo si sono fatte carico sono l’accoglienza all’interno dell’ostello dei poveri da un lato, e il progetto Intercultura dall’altro. Esperienze diverse accomunate però dalla convinzione che quando culture diverse si incontrano all’insegna del rispetto non può che scaturirne un’occasione di arricchimento reciproco.

«Prendersi cura delle persone che ci sono state assegnate – afferma don Sandro Panizzolo, vicario foraneo del vicariato di Monselice e parroco del Duomo  – ci ha portato ad essere più aperti. Certo, all’inizio c’era una certa diffidenza da parte delle due parrocchie, ma poi conoscendo i volti e le storie di questi nostri fratelli, tanti si sono ricreduti».

Quando infatti, lo scorso ottobre il vicario ha chiesto al consiglio pastorale di San Giacomo di aprire le porte dell’ostello dei poveri a 14 migranti, tutti giovani tra i 20 e i 30 anni, qualcuno aveva sollevato obiezioni temendo che la presenza degli stranieri potesse creare tensioni in parrocchia.
Ma la volontà di mettere in pratica l’insegnamento di Cristo ha prevalso su ogni timore, spingendo la comunità ad attivarsi per accogliere chi in quel momento si trovava senza un posto sicuro in cui vivere.

«Ci siamo detti che il Vangelo non è un libro da salotto – racconta don Marco Galante, amministratore parrocchiale di San Giacomo – ma è Parola viva che spinge ad amare il prossimo, qualunque sia la sua provenienza o il suo colore». Così sono iniziati i primi passi di un cammino, la cui meta finale è l’autonomia dei giovani che la parrocchia ha preso per mano.

Tre di loro, di origine pachistana, hanno raggiunto questo traguardo nei mesi scorsi, quando sono andati a vivere in un appartamento, rendendosi indipendenti.
E’ l’obiettivo a cui aspirano anche gli altri 11 africani provenienti dal Gambia, dal Senegal e dalla Nigeria, che pian piano si stanno costruendo un futuro.
I ragazzi, infatti, stanno frequentando lezioni pomeridiane per ottenere la licenza media; di notte invece si danno il turno lavorando in un magazzino della zona. Alcuni di loro, particolarmente abili con le lingue sono impegnati anche nella mediazione culturale. Il gruppo non solo è molto coeso e ormai autogestito, ma è diventato a sua volta capace di accogliere i pellegrini che lungo il cammino di Sant’Antonio scelgono di fermarsi nell’ostello di Monselice.

Da ospitati a ospitanti, quindi, dimostrando la stessa cura e lo stesso affetto ricevuto attraverso piccoli ma importanti gesti come preparare i pasti e sistemare le stanze dei pellegrini.
«Il loro più grande motivo di imbarazzo – spiega don Marco – è la gratitudine perché si accorgono di aver ricevuto molto più di alcuni loro connazionali e si chiedono come poter ricambiare». Questo atteggiamento ha fatto breccia nel cuore di molti parrocchiani, sgretolando il muro della diffidenza iniziale, tanto che la vigilia di Natale una famiglia li ha invitati a cena tutti e undici, senza che il diverso credo religioso – nove di loro sono musulmani – rappresentasse un ostacolo.

La valorizzazione delle differenze è il principio su cui si basa anche l’altra importante esperienza vissuta all’interno del vicariato di Monselice, il progetto Intercultura, che ha coinvolto due giovani insegnanti africani: Karamba Diouf, proveniente dal Senegal e Tamsir Njie, originario invece del Gambia, entrambi scappati dai loro paesi per sfuggire alle persecuzioni politiche.
L’idea di riportarli in cattedra è stata sostenuta da Gloria Dicati, membro della rete di associazioni “Bassa Padovana accoglie”, che ha coinvolto nel progetto sia il vicario don Panizzolo, sia i presidi degli istituti Cattaneo e Kennedy di Monselice e Mattei di Conselve.
«Il messaggio che volevamo trasmettere – spiega Gloria – era che molte delle persone che raggiungono l’Italia perché i loro diritti sono calpestati hanno delle competenze professionali notevoli da mettere a disposizione delle loro nuove comunità».

Così i due giovani docenti hanno affiancato nelle lezioni i loro colleghi italiani per un totale di cento ore tra febbraio e maggio, offrendo agli studenti sia la possibilità di migliorare la padronanza dell’inglese, sia di entrare in contatto con una cultura diversa.
«Gli studenti italiani erano molto appassionati alle lezioni e io mi sono trovato molto bene – racconta Tamsir, che in Gambia insegnava matematica e di inglese – perché la possibilità di continuare a fare il mio lavoro anche qui mi dà la forza di andare avanti Sto facendo quello che mi piace e penso di restare fino a quando avrò la possibilità di tornare nel mio paese».

Le storie di Tamsir e degli altri migranti ormai inseriti nel tessuto sociale di Monselice dimostrano dunque che la convivenza e la micro-integrazione sono traguardi possibili, a patto però che il cammino imboccato per raggiungerle ponga sempre al centro la dignità delle singole persone.

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