All’istituto Briosco la seduzione del presepe vale per tutti

All'istituto comprensivo Briosco la tradizione del presepe non è mai stata messa in discussione e ogni anno diventa un momento di incontro e di dialogo tra alunni e studenti stranieri e non. 

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All’istituto Briosco la seduzione del presepe vale per tutti

Arcella, il quartiere multietnico di Padova. Un’etichetta stereotipata, usata fin troppe volte, a descrivere la zona della città in cui risulta più difficile l’integrazione, dove gli ostacoli culturali, religiosi, emotivi paiono insormontabili. Eppure, dentro e fuori dalle aule del terzo istituto comprensivo Briosco, si apprende una lezione che vale senza distinzioni di appartenenza, credo, classe sociale.

A ridosso del Natale, il prodigio lo compiono proprio loro, i bambini e ragazzi, anche i musulmani, portando da casa, in assenza di una statuina, un pezzo di muschio trovato per strada o in giardino, anche solo una caramella da appoggiare tra le pieghe del paesaggio per sentirsi parte di un’opera collettiva da cui tutti si sentono sedotti. Il presepe in ognuno delle cinque scuole dell’istituto è diventata ormai una “perla preziosa” che ogni anno va ad arricchire quel magnifico patrimonio dell’integrazione: «Si lavora costantemente durante l’intero anno scolastico e non solo a Natale – spiega la preside Michela Bertazzo – con il protocollo d’accoglienza steso in due lingue, il piano dell’offerta formativa, il patto di corresponsabilità in sei lingue, il costante e appassionato lavoro nelle classi e la voglia di spendersi degli insegnanti, perché si sente che c’è bisogno di fare comunità».

Il terzo istituto comprensivo della città conta 800 studenti, di cui il 43 per cento proviene da 11 aree geografiche diverse: Nigeria (la più rappresentata), Romania, Moldavia, Marocco, Tunisia, Bangladesh, Pakistan… E la meraviglia sta anche nel fatto che pochissimi chiedono di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica: «Diciassette anni fa – racconta Elisabetta Sturaro, insegnante di religione e coordinatrice del plesso Muratori – la percentuale delle famiglie che sceglievano di non avvalersi dell’ora di religione rasentava il 70 per cento. Il quartiere aveva una lunga “tradizione” anticlericale e antireligiosa. Il nostro fu l’unico istituto che si rifiutò di far entrare il vescovo Mattiazzo durante la visita pastorale. Adesso tutti frequentano l’insegnamento della religione cattolica, pure i musulmani anche se solo come uditori, arricchendo il confronto e il dibattito».

Anche le attività integrative spesso vengono svolte insieme alle insegnanti di religione. «Dopo i fatti di Parigi – racconta Fabiola Baldo, insegnante e vicepreside – abbiamo sentito la forte esigenza di lavorare insieme ai ragazzi perché c’era il rischio che in alcuni casi si arrivasse allo scontro. Tutte le famiglie, invece, si sono rivelate intelligenti e ci hanno sostenuto nell’affrontare con i ragazzi le incomprensioni. Si è lavorato molto sul senso dell’amicizia, indipendentemente dalla provenienza di ciascuno e i più piccoli hanno chiesto spesso perché Dio sia chiamato Allah. È stato spiegato che sebbene con nomi diversi, derivanti dalle differenti culture, Dio è sempre lo stesso per ognuno di noi».

Ma c’è qualcosa di ancor più positivo che va al di là di quanto affrontato in classe: «Sono gli strumenti non formali che entrano in campo fuori dalla scuola – continua Emma Piva, insegnante di religione e coordinatrice del plesso Leopardi – Come la voglia di conoscersi, capire l’altro, frequentarsi, perché tanti ragazzi sono nati qui e già si sentono parte di questo paese».

Mettere un pezzetto di muschio fresco davanti alla capanna rappresenta molto di più per questi bambini e ragazzi stranieri, su cui le insegnanti nutrono grandi speranze. «Tutti indistintamente adorano stare davanti al presepe – continua Fabiola Baldo – amano scrutarlo in silenzio, pensare a cosa possano portare per renderlo ancora più affascinante. Ne sono sedotti e attendono con trepidazione l’ultimo giorno di scuola in cui viene adagiato il Bambino sulla mangiatoia. Imparano le canzoni della tradizione senza che nessun genitore imponga di non farlo. Ecco, credo che i problemi macerino più dentro a coloro che non sanno cosa fermenti di buono ogni giorno dentro alla vita inclusiva a scuola».

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